1991, SFSL, La fine del mondo

L’Anticristo e la fine del mondo, ieri e oggi. In margine a un convegno, «Studi e Fonti di Storia Lombarda. Quaderni Milanesi», Nuova Serie, 25-26 (1991) pp. 165-173; poi Literay.it [2016].

Titolo e Testo dell’articolo

L’Anticristo e la fine del mondo, ieri e oggi. In margine a un convegno

Da tempo si susseguono Congressi e Convegni sull’esoterismo. Le Giornate di Studio tenutesi a San Leo (8-9 settembre 1990) non hanno avuto nulla a che vedere, però, con pratiche di magia o con fumiganti divagazioni. Organizzate dall’ASPES con la partecipazione di docenti di nove Università e sotto la direzione scientifica di Paolo Aldo Rossi, docente di storia del pensiero scientifico all’Università di Genova, hanno avuto per tema L’attesa dell’Anticristo: dalle “culture della fine” ai segni del Terzo Millennio.

Anticristo e Apocalisse secondo San Giovanni

San Giovanni definisce l’Anticristo “seduttore” e “pseudo-profeta” che nega l’avvento salvifico di Cristo “nel mondo”. Ne conseguono due corollari: l’Anticristo “seduce”, quindi ottiene un consenso; è “falso” profeta, quindi inganna. L’Anticristo non è necessariamente una sola persona. San Giovanni dice infatti: “molti seduttori […]: costui è l’Anticristo” (2 Giov., 7. Cfr. anche 1 Giov. 2, 18). L’Anticristo, però, è reale; anzi è già presente: “[…] avete sentito che l’Anticristo è venuto”, il suo “spirito è già nel mondo” (1 Giov. 4, 3). Infine, la sua venuta è esplicitamente connessa con gli “ultimi tempi”: poiché l’Anticristo è venuto, per questo sappiamo (“unde scimus”) di essere negli “ultimi tempi” (“novissima hora est”).

San Giovanni ha poi applicato alla propria epoca l’antagonismo tra il Cristo e l’Anticristo. Nel suo nocciolo l’Apocalisse è molto semplice. La Bestia, cioè la Roma pagana, soggioga il mondo e aggredisce la comunità cristiana; il serpente, che è il maligno, attenta contro la Donna, o “civitas magna”, che è la “comunità dei santi”. L’Agnello, che è Cristo, vincerà l’opposizione (“et Agnus vincet illos [inimicos]”). E trionferà “presto” (“ecce, cito venio”). Il veggente assicura che la superiorità di Cristo è garantita: al patimento succederà presto, anche in terra, la rivalutazione dei credenti. E così avvenne. Con un racconto simbolico l’apostolo illuminava i fedeli su tutta una questione conturbante ed incerta. Infatti, Gesù aveva parlato di future persecuzioni e al contempo aveva garantito che l’avversario (simbolicamente, le “porte degli inferi”) non avrebbe prevalso; poi, già ai tempi di Paolo la gente si “scandalizzava” per la turbativa di predicatori dissidenti (“eretici”) e molti, inoltre, aspettavano come imminente – con l’avallo di Paolo, che poi precisò l’idea – il definitivo trionfo di Cristo (la sua “seconda venuta”). Ma Cristo sembrava tardare troppo.

I simboli, che costituiscono il codice linguistico del discorso apocalittico, sono serviti allo scrittore per velare i referenti contemporanei. Ma essi valgono anche a generalizzare la dottrina. L’Apocalisse giovannea sottende questa teoria essenziale: la condizione dei credenti è precaria, nella storia; è inserita nella inevitabile dialettica tra lo spirito buono e lo spirito “di questo mondo”. E tuttavia, la soluzione definitiva viene proprio da Cristo. Fin quando ci sarà storia, ci sarà contrapposizione. Del resto, Gesù stesso aveva avvertito di questa “convivenza” nella parabola della gramigna: qualcuno propone di tirar via l’erba cattiva, ma il “padrone del campo” decide per una paziente attesa. Per il frumento l’attesa implicherà il disturbo e l’attacco della gramigna, ma alla fine sarà premiata. Indefettibilmente. Quando? “A suo tempo!”. È solo certo che è un “nemico” a seminare “di notte” – nell’inganno – l’erba cattiva. Ma nella storia non è facile individuare “questo” nemico.

Giorgio Celli, docente di entomologia all’Università di Bologna, ha illustrato con facondia e con molta chiarezza il “Bestiario dell’Apocalisse”. Gli Anticristi acquistano sempre un’immagine “mostruosa”: ed è interessante vedere come di volta in volta siano state scelte, a rappresentarlo, le varie bestie a seconda del giudizio sulla loro natura “cattiva” o meno, oppure siano state fantasticate combinazioni di animali, tali per cui ne derivasse una figura spaventevole.

Radici bibliche ed ebraiche

Le Giornate di Studio di San Leo, sotto la presidenza di Massimo Montanari, medievista di Catania, hanno messo a punto questo essenziale riferimento dottrinale e culturale. Lo ha fatto brillantemente Paolo Aldo Rossi. La sua relazione ha preso avvio dall’Antico Testamento. Già il popolo ebraico visse nel convincimento di essere il portatore di un messaggio di salvezza, unico nel suo genere nel mondo antico e continuamente minacciato od avversato da forze a volte vittoriose. Il linguaggio apocalittico è già in alcuni libri ebraici, sia canonici (ad esempio, Daniele e Geremia), sia extracanonici (ad esempio Enoch, 12 Patriarchi). Non solo: salvezza (o dono, “grazia”) e tentazione (o promessa ingannevole, “seduzione”) vi si compendiano in due antagonisti, Dio e Satana. Il libro di Giobbe ne è una rappresentazione suggestiva.

L’estesa panoramica di Paolo A. Rossi si è sviluppata attraverso la Patristica fino alle soglie del Medioevo con una rigorosa impostazione. Insisto su questo punto perché informazioni parziali o deviate, ed anche, per il vero, incidenti estranei al comitato organizzatore, e sempre in agguato in Convegni su simili temi, hanno gettato delle ombre, in qualche organo di stampa, su queste Giornate sanleonesi, al contrario meritevoli.

Sviluppi medioevali e moderni

In un’epoca attraversata sia da forti passioni religiose, con richieste di evangelismi e pauperismi rigorosi, sia da una cultura del “sacro” che giustificava anche la volontà di dominio, era inevitabile che con frequenza nascessero nuovi “messia” e nuovi “anticristi”. Magari con accuse incrociate e reciproche. Così avveniva ad esempio tra papi e imperatori nelle lotte per le investiture oppure, dopo elezioni concistoriali contrastate, tra papi e antipapi. In genere, l’Anticristo era ravvisato in un imperatore che, avversando la Chiesa, magari nelle frequenti controversie di supremazia, per ciò stesso era l”‘avversario” di Cristo – e giuridicamente scomunicato -. Ma la situazione poteva risultare più complicata, quando a dividere in campo le opposte posizioni era una visione religiosa. È ad esempio il caso di Bonifacio VIII nella diatriba con gli Spirituali. La linea di questi ultimi contrastava con quella della gerarchia sulla questione della povertà nell’Ordine minoritico, ma il problema era allargato a tutta la dottrina ecclesiologica. Gli Spirituali – del resto come gli Arnaldiani ed altri – ritenevano che la Chiesa, per costituzione del suo Fondatore, non potesse vantare alcun potere politico e temporale. Ne derivava allora che un papa, il quale sostenesse, al contrario, tale diritto, fosse configurato come “seducente” capovolgitore del messaggio evangelico e della stessa natura della Chiesa voluta da Cristo: quindi, un Anticristo. Nella Lauda 83 Jacopone da Todi, rivolgendosi a Bonifacio VIII, dice espressamente che un “Lucifero novello” si è seduto sulla cattedra papale! Sempre sotto lo stesso profilo, si delineava quindi la conseguenza per cui il vero salvatore, nella contingenza storica, poteva essere proprio l’imperatore che contrastasse il potere temporale del papato. Dante, nella splendida allegoria del canto XXII del “Purgatorio”, riproduce la situazione dell’Apocalisse applicata alla propria epoca. Attentatore dell’Impero voluto da Dio e al contempo della Chiesa era Filippo il Bello, che aveva catturato la Chiesa approfittando di quel “mostro” che si annidava nel seno di lei: la pretesa di detenere il potere temporale.

Franco Cardini ha tracciato una erudita e ricchissima sintesi di tutto il periodo medievale, notoriamente pervaso da attese millenaristiche e scrutatore dei “segni della fine dei tempi”. Questi segni erano d’altronde a portata di mano, viste le turbolenze dell’epoca e la ricorrente corruzione della gerarchia ecclesiastica, pesantemente denunciata anche da Jacopone e da Dante. Cardini ha osservato come, dopo la “pace costantiniana”, l’Anticristo fosse stato spostato dall’impero romano, “nemico” pagano del cristianesimo, ai vari personaggi in campo della “societas christiana” stessa. Ma egli non è assolutamente scivolato verso prospettive anticlericali e non ha voluto mettere a fuoco quelle spinose questioni, cui io ho fatto cenno qui sopra. Anche questa delicatissima prudenza di Franco Cardini è doveroso risaltare, ancora una volta per ribadire il taglio impresso dall’Organizzazione scientifica ad un Convegno di studi così “rischioso”.

Tra Lutero e il Papato, poi, le accuse di Anticristo possiamo dire che si sprecassero. Ma il relatore di “Lutero e l’Anticristo”, Attilio Agnoletto, non ha inteso trattare questa questione, del resto ormai ben nota dopo la recente edizione della Claudiana di Torino. Agnoletto ha invece presentato una novità molto interessante, anche se sconvolgente, e cioè lo scritto di Lutero contro gli Ebrei tacciati, appunto, di “Anticristo”. Si tratta dell’opera Von den Juden und ihren Liigen del 1543 e ristampata in latino da Jonas nel 1544. Agnoletto ha ricordato la strumentalizzazione che ne fece Hitler nel 1936 (ed. Linden) e ha ribadito la sua intenzione di stamparne una versione italiana curata da G. Egger, germanista.

Anticristo e Apocalisse laicizzati

Henri de Lubac assegna un ruolo fondamentale a Gioachino da Fiore nell’evoluzione in senso laico del problema escatologico. Infatti, ponendo Gioachino la “fine dei tempi” in un’“età” (la “terza età”, quella “dello Spirito”) anteriore alla fine del mondo, dava adito a qualunque anticipazione, nella storia, di un’era definitiva di salvezza. Per il medioevale abate di Fiore, la salvezza in causa restava sempre di ordine soprannaturale: si trattava di uno “stato” di perfezione evangelica della cristianità conseguito grazie al diretto influsso dello Spirito Santo. Ma già un altro caposaldo entrava in crisi con Gioachino da Fiore: il Cristo storico e il suo vangelo “letterale”. La “terza età” infatti costituiva un superamento del “Vangelo storico” di Cristo mediante l’“intelligenza spirituale” (“pneumatica”, dello Spirito), che dava il senso vero e profondo del vangelo storico – a cui Gioachino contrapponeva il “Vangelo eterno”, di cui parla l’Apocalisse -.

Una volta che le culture laiche ed immanentistiche si appropriarono di questi concetti, incominciarono a sorgere i vari messianismi senza Cristo e le escatologie senza anime salvate. Ciò avvenne sia in àmbito religioso, sia in àmbito sociale. Nella cultura massonica ed illuministica, e in parte in alcune frange eterodosse del luteranesimo, il Cristo veniva eliminato senza residui e lo Spirito, collocato al di fuori di una Rivelazione storica, entrava nel contesto di una religione naturale benché extrarazionale: “rivelazioni” ricevute direttamente da Lui avallavano i “misteriosi” contatti con lo Spirito. Una propaggine di questa tendenza si è poi avuta nel nostro secolo con la “teologia senza Dio” e con il “cristianesimo senza Chiesa”. In campo laico, la palingenesi di una nuova umanità ispirò ad esempio i socialismi utopici. In ogni caso la “fine del mondo” divenne l’ultima fase della storia di questo mondo. Inoltre, restava sempre saldo il corollario della visione apocalittica, secondo cui il rinnovamento radicale dell’umanità doveva passare attraverso una catastrofica “purificazione”, tale che preparasse agli “ultimi tempi” felici, perfetti, nuovi.

Hitler fu tra quelli che s’impossessarono di questa logica, deviandola e stravolgendola. Il politologo Giorgio Galli dell’Università degli Studi di Milano, ha tra l’altro sottolineato l’ambiguità della figura dell’Anticristo. L’Anticristo infatti non si presenta affatto come un “cattivo”, ma come l’operatore di una futura umanità, sana e rinnovata. L’Anticristo “seduce”, diceva Giovanni: e non è dunque strano che Hitler, sostenuto da una mentalità diffusa nel mondo germanico dall’Idealismo tedesco, ottenne consenso, fu creduto da molti. Al riguardo, però, gli studiosi delle Giornate sanleonesi hanno avuto cura di rimarcare lo stravolgimento messianico nel seguente aspetto essenziale: il Messia vero vince, ma come “agnello”; sgomina le forze avverse, ma “soffrendo” lui stesso per gli altri, anzi addossando su di sé le colpe non Sue. I falsi salvatori della terra, invece, additano in altri il “colpevole” e sono essi stessi cagione diretta del patire dell’uomo. Infatti, è specifico dell’Anticristo erigersi sugli altri con quello spirito di orgoglio di cui parla la Bibbia a proposito del “principe delle tenebre”. Colpevolizzare altre persone rimanda ad un’angoscia profonda, di cui il soggetto “si scarica” proiettando all’esterno – su altri – le proprie pulsioni inaccettate.

La psicoanalisi offre una chiave interpretativa, a livello individuale e collettivo dello psichismo oggettivo, del meccanismo che crea la figura dell’“anticristo”, e ne svela come esso esprima aggressività maniacali anziché pazienti visioni salvifiche. Nella paranoia, il soggetto turbato contrappone il “buono”, che è lui stesso, agli altri – i “cattivi” -, ritenendosi per ciò stesso minacciato. Adolfo Francia, docente di criminologia e di medicina legale all’Università di Pisa, nel suo puntuale intervento ha delineato con estrema chiarezza e con incisività questa dinamica.

Lo spirito religioso non si arroga l’autoesaltazione di “buono” esclusivo. Gesù stesso ricordava ad uno che lo chiamava “buono”: “Perché mi chiami buono?”. Tanto meno attribuisce la malvagità agli “altri”. Pur riconoscendo che esistono coloro che vogliono e fanno il male, non si scaglia contro di loro per sterminarli. Pur sapendo che c’è chi prepara la propria rovina, non ne gode, ma, come Gesù su Gerusalemme, “piange” per loro. Il vero messia non opera il bene facendo il male alla gente.

A questo punto torna in conto rifarmi alla relazione di Franco Cardini. Oltrepassando i confini storiografici, da pensatore qual è, egli ha anche riflettuto sulla sostanza universale e radicale del problema: l’eterno scontro tra il bene e il male. Ed ha avvertito che il male ed il bene ce li portiamo, noi tutti, dentro di noi stessi. Tutti dobbiamo fare i conti con l’“angelo” – si ricordi l’Apocalisse di San Giovanni – e con la “bestia”, con l’“agnello” e con l’“anticristo” che sono in noi.

La fine del mondo secondo la scienza

È suggestiva l’applicazione di questi concetti al mondo della realtà fisica della terra. Ha sviluppato questa tematica, con una metodologia ricognitiva e con una conclusione illuminate ed equilibrate, Giuseppe Del Re, docente di chimica teorica all’Università di Napoli. La scienza assegna un alto grado di probabilità alla fine del mondo fisico in cui viviamo. La terra è infatti realmente minacciata, oltre che dal raffreddamento fisico nell’arco di milioni di anni come tutti i pianeti, anche da attentati compiuti dall’uomo, che ne compromettono molto prima la vivibilità. Anche in questo campo torna dunque in ballo l’uomo con le sue responsabilità: la “fine ecologica” è opera umana. D’altronde, è difficile poter stabilire concretamente e con esattezza quali siano i comportamenti distruttivi. Non bisogna perciò tranciare facili giudizi contro l’uno o l’altro degli strumenti di sviluppo industriale o di processo trasformativo della materia. Certo è comunque che trasgredire le leggi dell’equilibrio ecologico e rovinare il pianeta è nel rischio della società edonistica. È vero che tutti possono e debbono fare qualcosa per migliorare la situazione, ma è anche vero che il pericolo trascende le opzioni di ciascuno. Chi ha fede, però, nutre fiducia e si adopera perché le forze del bene, anche in questo contesto, trionfino illuminando le menti per salvare la terra. Perché, se il progresso tecnologico può danneggiare la natura, è ancora la scienza che può intervenire per progettare soluzioni ecologicamente sane e per correggere gli aspetti nocivi del progresso stesso. Giuseppe Del Re ha infine ricordato che secondo la Bibbia l’uomo non è il padrone assoluto della terra, l’autocrate della natura, ma ne è l’usufruttuario e il Custode, responsabile di fronte ai propri simili, alle future generazioni e a Dio stesso.

“Ludus de Antichristo”

Un testo teatrale, redatto da un anonimo monaco del XII secolo, ha illustrato la dinamica dell’Anticristo, con la definitiva vittoria del Cristo, ambientata all’epoca dell’autore stesso. L’opera è stata splendidamente spiegata e commentata da Ferruccio Bertini, docente di letteratura latina medioevale all’Università di Genova e Preside della Facoltà di Lettere. Il monaco rivela, in filigrana, la sua simpatia per il “partito” dell’imperatore, ma l’Anticristo si rivela più astuto di tutti, assoggettando i sovrani di tutta la terra. Egli sottomette a sé anche il popolo ebraico e cerca di piegare anche la Chiesa. La Chiesa “si nasconde”, impotente al momento contro un avversario troppo seducente e potente. Ma quando l’Anticristo sente di poter cantare vittoria totale, di essere diventato il padrone incontrastato del mondo, ecco che una forza, che si direbbe inattendibile e sembra sovrumana, lo sconfigge e la Comunità dei credenti trionfa.

Anche questo “ludus” teatrale non ha dunque ragione di far paura a nessuno. Salvo a chi non riconosce le inesauribili risorse dell’“Agnello” apocalittico.                                  Francesco di Ciaccia

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