1982, CRend, «Natale di Greccio»

San Francesco d’Assisi e il «Natale di Greccio», «Campane di Rendena», 72 (1982), pp. 64-65.

Testo dell’Articolo

Al termine di questo anno solare, insignito e confortato dal giubilo per l’ottavo centenario della nascita di San Francesco (1182), e con l’inizio dell’anno liturgico, che si apre, introdotto dall’Avvento, con il Natale del Signore, ci si avvia verso un’altra data, memorabile per il mondo francescano e, benché meno consapevolmente, per il mondo intero. Noi, di proposito, la anticipiamo qui, ricordandola unitamente a quella della nascita dell’Assisiate.

Era il 25 dicembre 1223 quando, con la sua ingegnosa affettuosità Francesco rivisse «il giorno della letizia, il tempo della esultanza», la «notte […] chiara come pieno giorno», la notte «dolce agli uomini e agli animali» (Tommaso da Celano). Il biografo 1 narra il fatto in evidente parallelo letterario con il racconto evangelico dell’Ultima Cena: «il beato Francesco […] lo (un uomo di nome Giovanni) chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico […]”». Se le analogie bibliche sono consuete nella biografia francescana del Celano, lo specifico parallelismo di questo brano di vita fa pensare a Greccio come a uno dei «testamenti» dell’anima di Francesco: nove mesi prima di ricevere le stigmate e a meno di tre anni dalla morte sulla «nuda terra», egli offrì all’uomo del suo tempo, indurito dalle difficoltà del «mestiere di vivere» e, come in tutti i tempi, spesso dal rancore, uno dei più stravaganti gesti di gioia rivoluzionaria. Fece «rinascere» Gesù sulla nuda pietra.

Disse al detto Giovanni, «uomo […] molto caro (a Francesco) perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne»: «[…] vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Il «bue e l’asinello», non nominati nelle fonti evangeliche, sono soltanto immaginazioni tardive (sec. IV), interpretative di Isaia 1,3. Con Francesco, essi sono diventati realtà, hanno assunto la concreta dimensione, simbolica e anche d’esperienza, della povertà. La gente «accomoda la greppia», vi «pone il fieno»; «si introducono il bue e l’asinello». «Risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme», dice il Celano con spirito di edificazione, ma anche con magistrale efficacia.

Forse, dopo la Porziuncola e dopo la Verna, nessun altro luogo fu così amato da Francesco. I biografi, certamente, si diffondono molto di più nel presentare l’Assisiate a Santa Maria degli Angeli o sul monte delle stigmate, e solo Bonaventura, in effetti, riproduce, con una certa ampiezza, il racconto celaniano del Presepio. Ma noi rileviamo che, mentre la Porziuncola fu cara a Francesco in rapporto, essenzialmente, alla propria vocazione e all’organizzazione e istituzione dei suoi discepoli 2, e la Verna gli fu intima per ragioni strettamente personali, e con qualche gelosia 3, Greccio fu una realizzazione esplicitamente rivolta e offerta ai fedeli tutti: «uomini e donne arrivavano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno, secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte […]».

La povertà del «Figlio dell’uomo», e del francescanesimo, è praticata dunque, fin dall’inizio, insieme a quella che, come sostiene Francesco stesso nelle Lodi delle virtù, v. 2, è la sua «sorella» principale, la «santa umiltà»: ognuno dà quello che può, senza vergognarsi. Questa è anche l’indicazione «eucaristica» di san Paolo, particolarmente amato, del resto, da un francescano così venerato nel Trentino e nella valle rendenese, san Bernardino da Siena 4.

Povertà, umiltà, semplicità e letizia accesero allora «splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e tutti i tempi», e che costituisce la «luce» nella storia umana, nonostante le facili, ma troppo parziali, obiezioni, alle quali l’Assisiate ha risposto, in anticipo e in modo vincente, con i fatti. Un segno che il gesto illuminante di Francesco, rigeneratore del significato interiore e sociale del Natale, rischiara anche questi giorni, lontani ma non ignari del tutto di lui, è la memoria con cui questa valle rendenese si riconforta affettuosamente ai piedi del Presepio, a imitazione del Poverello: «la gente accorse […] davanti al nuovo mistero».

Vecchio, e nuovo: Francesco lo ha rinnovato, con la consueta potenza del suo dolce affetto. Al Natale, egli si preparava ogni anno col digiuno, e voleva che i frati facessero altrettanto (cfr. Regola bollata, III, 6); ma, a Natale, il giorno «in cui è nato il Signore», riteneva «peccato» digiunare. Voleva che «ogni cristiano esultasse nel Signore e per amore di lui, il quale ha dato a noi tutto se stesso» 5, e che gioissero anche «gli animali e gli uccelli», approvvigionati, in maniera più abbondante, con «frumento e altre granaglie nelle strade»; «voleva che anche i muri» mangiassero «carne», o, non essendo ciò possibile, ne fossero «spalmati all’esterno» 6. Stupenda inventività di un «poverello», questa che non bada a spese, solo per mostrare la propria riconoscenza!

«Chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano». Di fronte ad un’umiltà così impareggiabile, Francesco, severo, ha espresso il massimo della tenerezza – che ha influenzato anche il più austero, e passionale, Jacopone da Todi –, apparentemente inutile: «baciava con animo avido le immagini di quelle membra infantili, e la compassione del Bambino, riversandosi nel cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza alla maniera dei bambini». Anche le rupi, a Greccio, sembravano gioire, «e la notte sembra tutta un sussulto di gioia» 7. Estatico, di fronte alla grotta fredda, diventata grotta di pace, ecco di nuovo Francesco balbettare, anzi «belare» pronunciando le parole «Bambino di Betlemme»: e si «passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole».

A parte i miracoli avvenuti a Greccio (o con il fieno di Greccio), e a parte la visione del «Bambino» attestata da un «fedele» e tramandata dal Celano (Vita prima, 86-87), cosa più mirabile è quel frate scarno e festante, mentre rievoca il «neonato Re povero». Egli, che «non poteva ripensare senza piangere in quanta penuria si era trovata in quel giorno (del Natale) la Vergine poverella» 8, fece gioire il popolo proprio per questo: perché la «santa povertà» confonde ogni cupidigia e avarizia e le preoccupazioni di questo mondo» 9.

Da allora il bimbo è qui, aspetta, aspetta…

Chiama nel gran silenzio de la notte

e plora il vento con parole rotte;

Forte romba l’inutile zampogna

per la gente che in fretta se ne va:

cadenza di nostalgica zampogna

piange su la decrepita città 10.

Contro questa pessimistica, o realistica, considerazione, Francesco ha lasciato, fortemente e pacatamente, questo magistero (Lodi delle virtù): «La carità […] confonde tutti i timori umani» (v. 13), e sua sorella, «la santa obbedienza» (v. 3), tiene sottoposto l’uomo «al proprio fratello» (v. 15): come il Gesù di Betlemme, che ha sottoposto se stesso ai propri fratelli, prendendo la loro stessa natura debole e povera. [Francesco di Ciaccia]

Nella parrocchiale di S. Antonio in Mavignola

1  Tommaso da Celano, Vita prima, XXX, 84-87, in Fonti Francescane, tr. Abele Calufetti e Feliciano Olgiati, Assisi 1978, pp. 477-479, cui rimandiamo per tutto l’episodio.

     2  Bonaventura, Leggenda maggiore, II, 8 e III, 1; Specchio di perfezione, I, 8, 55, 82-84, e passim. A parte il valore «mariano», per cui cfr. il nostro art. Il «Saluto alla Vergine» e la pietà mariana di Francesco d’Assisi, in «Studi Francescani», a. 79, n. 1-2 (1982) pp. 55-64, in cui si trova anche l’aspetto della «povertà» della Vergine di san Francesco.

     3  Tanto è vero che Francesco non volle rivelare le «stigmate della Verna» (T. da Celano, Vita prima, XCVIII, XCIX, C), nonostante l’esortazione di frate Illuminato (I Fioretti, «Della terza considerazione delle sacre sante Istimate»).

     4  Chiamava San Paolo il suo «Paolozzo»: cfr. P. Eliseo Onorati, San Bernardino da Siena nel VI centenario della nascita (1380 -1980), Trento 1980, p. 38.

     5  Leggenda perugina, 110, in FF, tr. Vergilio Gamboso, p. 1279. Stessa referenza per le cit. successive.

     6  T. da Celano, Vita seconda, in FF, tr. Saverio Colombarini, pp. 711-712. Stessa referenza per le cit. successive.

     7  Per questa referenza, cfr. il nostro art. sulla «festa in Francesco d’Assisi», in «Communio», 1982.

     8  T. da Celano, op. cit., 200.

     9  Francesco d’Assisi, Lodi delle virtù, in FF, tr. Francesco Mattesini, p. 175.

     10  Maria Luisa Fiumi, Greccio, in Tommaso Nediani, La Fiorita Francescana, Bergamo s.d., in realtà 1926, p. 265.

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