1986, GRUXA, Riflessioni sull’educazione

Riflessioni sull’educazione morale nell’adolescenza, Circolo Culturale GRUXA, Milano 1986.

Testo della Conferenza

Un primo presupposto da stabilire è che, secondo molti studiosi, dal punto di vista della moralità soggettiva non si può parlare di moralità se non a partire dalla preadolescenza, nella quale il processo di interiorizzazione è perlomeno stabilizzato. Siccome, però, nessuna crescita è a salti, occorre tener conto anche delle precedenti fasi evolutive.

Dal punto di vista della moralità oggettiva, essa è posta nelle competenze dell’etica, della filosofia, della teologia. «La formulazione di giudizi di valore è stata considerata da molti esperti di psicologia un deplorevole tradimento del metodo scientifico, da essere giustamente evitato, a tutti i costi» (Quadrio, p. 244). Ma «il bisogno e l’esistenza di un sistema di valori morali » – ricorda ancora il Quadrio – sono anch’essi una realtà; ad ogni buon conto, la moralità ha pure un rapporto con le condizioni dell’individuo psicologicamente inteso, in quanto è, concretamente, «portata» dalla personalità reale, con tutti i suoi meccanismi intellettivi ed affettivi.

Per lo sviluppo soggettivo della moralità, nel senso di cui qui parliamo, cioè come «giudizio» o «senso» morale, essenziale è la riflessione, tanto più se si sostiene che la base della moralità è essenzialmente, benché non esclusivamente, intellettiva. Per «riflettere» intendiamo il riandare, con l’intelletto, a rivedere i propri atti in rapporto ad uno scopo ultimativo sussunto. Senza tale ripensamento intelligente si esce solo a rilento e difficoltosamente dall’economia e dall’emozionalità della morale infantile. (La moralità è «emotiva» quando si crede il «buono» e il «cattivo» in rapporto al sentimento che si prova).

Una precisazione: tale «rilettura» delle proprie azioni non va condotta solo sui fatti propriamente morali. Si tratta infatti di acquisire un’attitudine di onestà mentale nei propri riguardi.

Occorre poi evitare il realismo in morale. Esso consiste nel giudicare il «buono» o il «cattivo» in rapporto agli esiti di fatto. Certo, il realismo morale è inevitabile, nel fanciullo, per il limite in lui della dimensione dell’interiorità; d’altra parte, non diciamo che l’atto morale sia solo quello interno, escluso l’atto esterno. Tuttavia, l’adolescente va abituato proprio all’interiorità, alla responsabilità come valore interiore, indipendentemente dai risultati concreti.

Puntualizzare la natura interiore della moralità vale anche ad ovviare all’adolescente lacerazioni psicologiche, che derivano a volte dal non distinguere tra genere e genere di norma: in particolare quella morale e quella giuridica. Non già che la legge giuridica non vincoli anch’essa la coscienza morale: ma la vincola per una via diversa e, inoltre, non necessariamente. Certo è che la specificità è diversa tra vincolo morale e vincolo penale.

Mi spiego. Lo studente non deve copiare nelle prove in classe o d’esame. Ebbene: la norma giuridica – o la disciplina scolastica – non dice che lo studente non deve copiare perché non è giusto che chi non sa sia premiato. Essa, semplicemente, vieta di copiare. La ragione del legislatore è, chiaramente, quella etica della giusta ricompensa. Tuttavia, la legge non distingue, dicendo: chi sa, può copiare, se il nocumento che gli deriva dal non copiare è maggiore del merito che gli andrebbe per il suo sapere. (A tutti può capitare una giornata di disturbi che incidono sull’efficienza mentale, ecc.).

La norma giuridica contempla, essenzialmente, solo il fatto, il suo foro è esterno. Perciò è necessario non identificare la natura della legalità con la natura della moralità. Per cui, affinché l’adolescente non vada incontro a confusioni e non venga sottoposto a conflittualità inutili, occorre avvertirlo, con chiarezza e discrezione, che, come nell’esempio anzidetto, il divieto disciplinare di copiare comporta, in coscienza, questo: che, se scoperto, accetti la pena comminata. Invece, è di natura – cioè intrinseco alla moralità – il principio per cui chi non sa non riceva il riconoscimento di chi sa: ottenere un diploma non meritato è immorale; essere esonerato dal pagamento di una certa tassazione, per precise condizioni economiche, è immorale per chi non fosse in dette condizioni economiche; e così via.

Bisogna evitare il rischio, sempre ricorrente, che l’adolescente cada nell’errore di ritenere vincolante la norma morale solo in caso di presenza del normatore esterno (genitore, insegnante, ecc.): il che costituisce una stridente contraddizione etica.

L’adolescenza è l’età in cui l’immediatezza va seriamente ad essere incrinata, infranta, tradita. Il primario meccanismo dell’esperienza sensoriale, sulla quale si costruisce la referenza infantile, unito anche all’egocentrismo psicologico e logico, lascia spazio sempre più all’esperienza logica, unita alla consapevolezza piena dell’alterità, che è fondamento della dialettica. Sulla base del più o meno circoscritto uso sensoriale, il soggetto non va molto oltre al dato immediato; egli risponde fondamentalmente a «stimoli» oggettivi. Perciò i suoi «valori» sono, per così dire, sul concreto, sono in rapporto alla fruizione di «eventi» materiali.

Perché si dia moralità, invece, è pregiudiziale che il «valore» non sia legato ad una (sia pur possibile) gratificazione o, negativamente, frustrazione. A differenza che per l’economia, la sociologia ecc., il valore morale è fondamento di se stesso. Esso si costituisce tale, in rapporto ad un fine che sia esso stesso assoluto.

È evidente che, a sua volta, il fine dipende dalla rappresentazione della natura dell’uomo in senso filosofico. Al riguardo si danno diverse rappresentazioni dell’essenza umana nella storia del pensiero. Qui saltiamo i presupposti teoretici della moralità e ci atteniamo a ciò che pacificamente viene accolto da tutte le culture o dalla maggior parte di esse. Obiettivi di tale genere possono essere: rispettare il prossimo; non fare agli altri quello che ragionevolmente non vorresti fosse fatto a te; fare ciò che veramente, al di là degli interessi personali, pensi doversi da tutti universalmente fare.

Del resto, anche l’educatore deve assumere agli occhi dell’adolescente primieramente ed incisivamente questa caratteristica: di giustizia, di coerenza con i propri dettati di comportamento, di longanimità nel non pretendere al discepolo più di quanto egli stesso sia capace di sopportare. In questa modalità di «presenza» il docente, l’educatore, il genitore saranno stimati dall’adolescente più per quello che ciascuno di loro è in se stesso che per quello che è per le convinzioni politiche, morali, ideologiche, ecc.

Si è detto della coloratura ancora fantasiosa dell’attività mentale dell’adolescente, che pure, rispetto alle fasi precedenti, ha già acquisito in maniera piuttosto stabile la forma logica del pensare. Il bisogno di autoaffermazione da parte di quell’«io» che si sta imponendo e che deve progredire conduce la mente adolescenziale a costruirsi un mondo ad usum sui, a volerlo a propria immagine. L’ideazione di un universo «fatto per lui» obbedisce anche alla necessità di sicurezza, perché l’adolescente, che incomincia già a fare i conti con l’esistenza dell’alterità, del «mondo», soffre quasi di panico, si sente minacciato. Per questo, anche in fatto di moralità l’adolescente tende ad assolutizzare (Tra parentesi, non è il club o gruppo a determinare l’unilateralismo adolescenziale, ma è l’adolescente che, recepiti i principi dal club o gruppo, li assolutizza come il «dover essere» universale).

Ciò non vuol dire che il giovane non debba ricevere una visione della vita da altri, a partire da quel gruppo originario che è la famiglia. Si vuol dire che ciò che il «ricevuto» – le idee circa la concezione della vita – deve poter essere vissuto dall’adolescente con la coscienza della propria ineliminabile responsabilità e con la sensazione della propria libertà di persona.

Un’altra osservazione: la visione del mondo e la morale proposte all’adolescente non siano troppo intimistiche. Finché si è a contatto con adolescenti non si insista troppo sull’individualità. «Victor Frankl parla della disperazione dei giovani d’oggi che si trovano in quello che egli chiama un vuoto esistenziale, dove ogni individuo è al centro del proprio universo e nega che si possa vantare su di lui alcun diritto ‘esterno’ all’individuo stesso» (Harris, p. 246).

L’impostazione pedagogica che faccia emergere il valore, funzionale ma necessario, dei ruoli nella comunità umana favorisce il cosiddetto principio della realtà nell’ambito morale – un’analogia con il principio della realtà freudiano. Esso è «il principio direttivo dei processi psichici che mira ad istituire l’accordo coi motivi di altre persone, con norme ed usanze di gruppi di persone e con le norme della società» (Toman, 707). Si tratta, nell’ambito della moralità, di una realtà più vasta di quella del circostante ambiente di vita, società compresa. Dice Thomas Harris: «E la realtà, compresa attraverso lo studio della storia e l’osservazione dell’uomo, è anche lo strumento per mezzo del quale creiamo un sistema etico valido» (Harris, p. 243). La convinzione morale va posta, con discrezione, a confronto con quella di altre ideologie. È una necessità anche per l’adolescenza, in modo che il soggetto approfondisca e scelga più liberamente e consapevolmente la posizione recepita dal gruppo.

In effetti, altro elemento dello sviluppo morale è il futuro come dimensione di possibilità sempre ulteriori.

Giustamente Giuseppe Capograssi afferma che l’istanza morale dell’uomo è «volere ciò che non esiste». Il fattore del «futuro» come dimensione esistenziale della coscienza e come componente della vita psichica è stato rilevato dalla psicologia fenomenologica, modificando l’impostazione dei dinamismi inconsci freudiani. Noi qui non vi facciamo cenno. Ricordiamo solo un’osservazione di Thomas Harris: «Ho l’impressione che molti psichiatri e psicologi abbiano commesso l’errore di aver trattato i pazienti in base ad un solo ‘rilevamento’ […], la storia passata […], e hanno dimenticato il più delle volte di analizzare i tipi di realtà che avrebbero potuto essere (al paziente) di ausilio per comprendere ciò che dovrebbe fare» (Harris, pp. 243-244).

D’altra parte è lo stesso educatore che va pian piano valutando la personalità, le potenzialità umane dell’adolescente, per guidarlo a conquiste etiche più profonde. Il punto di partenza è il momento che si vive: ma non punto statico, appunto. Alcuni educatori fissano il giovane allo stadio attuale, e, circoscrivendolo in quelle condizioni – ad esempio, come un lazzarone -, gli mettono per ciò stesso a repentaglio uno sviluppo in positivo. [Francesco di Ciaccia]

Siglario delle opere citate

Quadrio: Assunto Quadrio Aristarchi, Psicologia dell’età evolutiva, traduzione di Antonio Lanzalaco, Milano, Vita e pensiero, 19823.

Harris: Thomas A. Harris, Io sono ok, tu sei ok. Guida pratica all’analisi transazionale, traduzione di Mario Manzali, Milano, Rizzoli, 1974.

Toman: Walter Toman, Dizionario di psicologia, Roma, 19822.

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