Recensioni, De cognitionibus

Testo delle recensioni, segnalazioni, menzioni, in ordine cronologico di pubblicazione

Siglario

 

Ginevra Crosignani, «Archivum Historicum Societatis Jesu», vol. 79, a. 2010, 158, pp. 586-590.

Il De cognitionibus quas habent daemones liber unus fu data alle stampe dal cardinal Federico Borromeo nel 1624, lo stesso anno dell’altra sua opera a carattere demonologico: Paralella cosmographica. De sede et apparitionibus daemonum. Liber unus. Francesco di Ciaccia, già autore di una pregevole edizione del Paralella cosmographica (2008), ci propone un’altra opera del cardinal Borromeo, ovvero lo stampato latino del De cognitionibus basato su di una delle due copie conservate presso la Biblioteca Ambrosiana (ma “contenente interventi di modifica e correzione più numerosi e più precisi” [p. 29]), e la sua traduzione, realizzata con l’ausilio dei “quaderni di studio” federiciani, ovvero quaderni di appunti preparatori al testo stampato.

A causa della presenza di “costruzioni sintattiche errate o strane” o “sviste nelle operazioni di modifica … con conseguenti confusioni grammaticali e sintattiche …” (p. 26), il curatore ha considerato essenziale l’utilizzo dei quaderni preparatori nel processo di traduzione dell’opera. Essa risulta, pertanto, estremamente accurata sia da un punto di vista grammaticale che contenutistico, ed è precisamente grazie ai quaderni federiciani che il curatore ha potuto colmare le lacune interpretative presenti nel testo e, dunque, documentare i raccordi tra i libri stampati e gli appunti manoscritti” (p. 26).

La genesi del De cognitionibus risale al tempo della stesura di uno scritto a chiaro fine pastorale, il De ecstaticis mulieribus et illusis, apparso nel 1616, con il quale il cardinale offriva direttive riguardo ai cosidetti fenomeni “estatici”, ovvero connessi con visioni che avrebbero potuto provenire da Dio. Inoltre, la tematica che si cela dietro un titolo che il cardinale dovette oculatamente selezionare onde non dar luogo a confusione, rende il De cognitionibus assai differente dal Paralella cosmographica. Infatti, la problematica che il Borromeo si trovava ad affrontare era “annosa e notoria” (p. 13), ma la sua analisi non voleva essere incentrata sulla conoscenza che gli uomini hanno o possono avere dei demoni, tema che caratterizza parzialmente il Paralella cosmographica, bensì sulle “conoscenze che i demoni [corsivo nostro] possiedono dall’inizio della loro creazione o a cui sono in grado di accedere nel tempo” (p. 13). La questione di quali mezzi abbia il demonio a disposizione per corrompere, pervertire ed eventualmente conquistare un’anima era ovviamente cruciale sia da un punto di vista dottrinale che di direzione spirituale, e vanta un’antichissima tradizione, dalla filosofia antica alla patristica, “dalla teologia alla psicologia, dalla dogmatica alla fenomenologia dell’arte magica” (p. 18). Opinione comune era che il demonio fosse in grado di conoscere l’intimo dell’uomo, i suoi pensieri più reconditi, le sue fantasie così come gli atti esterni. Tuttavia, era altresì considerato assodato che in quanto “decaduto” il demonio non potesse vantare le stesse conoscenze degli angeli, e ciò risultava comprovato dalla pratica pastorale (ed inquisitoriale), laddove uomini di Chiesa illuminati avevano dimostrato di poter facilmente smascherare il demonio nei suoi tentativi di illudere o ingannare soggetti particolarmente deboli.

Questo particolare trattato del cardinal Borromeo rientra in un genere diverso da tutti gli altri che sono essenzialmente di carattere pedagogico, didattico o pastorale: il De cognitionibus è, infatti, “un prodotto dottrinale in senso stretto” (p. 22), cioè un’opera di carattere teorico o speculativo, come provato dalla sua struttura interna che segue lo schema argomentativo proprio della trattatistica scolastica tradizionale. Oltre a ciò, la naturale complessità connessa alla trattazione saggistica delle conoscenze demoniache dell’animo umano, ha prodotto un testo che in certo senso manca di unitarietà e che mette in evidenza “alcune lacune formali e qualche disorganicità, meno marcati in altri libri demonologia del medesimo Autore” (p. 22). L’intenzione del cardinal Borromeo di trattare della conoscenza dei demoni è al tempo stesso spirituale e razionale, ed il solo fatto che egli si sia cimentato in un compito tanto arduo gli rende onore. Tuttavia, mentre Paralella cosmographica è un’opera che affronta il tema delle apparizioni demoniache dal punto di vista fenomenologico e medico, muovendo dall’esperienza della ragione umana, il De cognitionibus prende in considerazione “la sfera operativa dell’attività demoniaca” (p. 24) argomento che manca, per definizione, di una vasta ed “oggettiva” letteratura. Il tema dell’esistenza del demonio è ricorrente nelle Sacre Scritture, ma esso non viene mai trattato in maniera organica, tanto che la Chiesa deriva le sue conoscenze ed i suoi insegnamenti essenzialmente dalla Genesi e l’Apocalisse di S. Giovanni, alla luce di una interpretazione patristica e teologica compendiata nei decreti del Concilio Lateranense IV (1215). Lo stesso cardinale non si cimenta nell’ermeneutica di tutti i passi biblici in cui viene menzionato il demonio, poiché egli stesso è consapevole delle incertezze teologiche della disciplina demonologica (p. 197). Piuttosto, si trova costretto a fare appello alle testimonianze degli uomini su questo tema, anche quando si tratta di filosofi, uomini illuminati o Padri della Chiesa, oppure ad alcune conoscenze che si davano al tempo per scontate, come il fatto che gli astri avessero un’influenza sulla esistenza umana (pp. 206-207).

Il libro unico del De cognitionibus è articolato in 34 capitoli, la maggior parte dei quali dedicati all’esame della autorevole letteratura teologica in materia demonologica, la quale – pertanto – non necessita di alcun chiarimento o spiegazione, ma anche di quegli aspetti che “sono più incerti ed ambigui circa le conoscenze dei demoni” (p. 161). In seguito, vengono esaminati i modi del conoscere dei demoni e l’oggetto della loro conoscenza: essendo stati essi stessi un tempo angeli buoni, viene anche affrontata la conoscenza degli angeli e la natura della loro conoscenza degli uomini, dei loro pensieri ed azioni.

Poiché gli angeli “vedono e conoscono la natura e l’essenza divina … Parimenti conoscono tutte le cose naturali, ed al di là dei confini naturali, sia in forza di rappresentazioni impresse, sia grazie al lume della rivelazione” (p. 164). La conoscenza dei demoni invece, è notevolmente limitata per volontà del Creatore il quale decide egli stesso di manifestare loro alcune cose ed occultarne altre, o impedisce che essi possano compiere alcune cose che vorrebbero o potrebbero fare (pp. 198, 243-244). Pertanto, le cose “puramente soprannaturali” (p. 164) sono ignote ai demoni, ma non il “modo” in cui taluni eventi di siffatta natura si sono verificati, come per esempio certi sacri misteri, “i miracoli di Cristo, la Verginità della madre di Dio, la Resurrezione del Salvatore” (p. 164). Molti filosofi antichi attribuirono ai demoni ingegno acuto e facoltà divinatorie, ma secondo i Dottori della Chiesa essi non avrebbero alcuna facoltà di predire il futuro se questo non gli è permesso da Dio o se esso non gli è mostrato dagli angeli o da altri demoni, ma sempre che ciò avvenga per volontà del Creatore. Talvolta Dio può servirsi dei vaticini dei demoni per ammonire gli uomini circa qualche peccato loro, distoglierli da certi vizi o esortarli alla virtù, ma ciò non solo avviene per “permissione di Dio, ma anche per suo volere” (p. 169). Poiché Dio solo ha assoluta e completa conoscenza dell’animo umano, è chiaro che i demoni non conoscono i sentimenti ed i pensieri degli uomini. Dunque, il cardinale va ad esaminare fino a che punto si estendano le conoscenze dei demoni dell’animo umano. Secondo il Borromeo i demoni sono sensibili alle alterazioni fisiche – come il “movimento del corpo” o “1’agitazione delle membra” (p. 171) – o chimiche del nostro organismo (“1’alterazione degli umori”) e ciò può fornire loro una certa conoscenza delle nostre fantasie, inclinazioni o predisposizioni ad un certo momento, ma non certo – come affermato dallo stesso San Tommaso – i pensieri dell’animo umano. “La stessa pratica di vita” può rendere i demoni in grado di fare congetture su quali saranno le azioni degli uomini, ma ciò è cosa comune presso gli stessi esseri umani, che non mancano di dedurre ciò che accadrà da ciò che è accaduto. I demoni possono infiltrarsi nella nostra fantasia perché hanno conoscenza della nostra pura facoltà intelligente, o specie impresse, ma non della nostra capacità cognitiva, che è la specie espresse, e che è all’origine del moto della volontà il quale “induce l’animo in modo tale che si occupi di una cosa piuttosto che di un’altra” (p. 172). I demoni non sono dunque in grado di fare i sillogismi che sono propri dell’intelletto umano, poiché non possono accedere ad un elemento proprio dell’animo che è la volontà: la volontà, infatti, ordina all’intelletto e lo induce alla riflessione, il che fa parte del processo della conoscenza umana. Secondo San Tommaso, Tommaso Argentinense, Erveo Brito, Durando, Duns Scoto e Gabriel Biel, i demoni hanno una superficiale conoscenza dei “sentimenti” del cuore umano ma solo per ciò che non coinvolge la volontà o l’atto cognitivo. Talvolta, ai demoni può essere noto l’atto intellettivo, o i “contenuti immaginativi dell’intelletto” (p. 181) di un soggetto, ma ciò avviene esclusivamente per volontà di Dio e per i suoi personali fini. San Bonaventura conferma che i demoni non possono accedere ai pensieri umani poiché Dio ha deciso che l’uomo conservasse intatta la sua volontà che è all’origine del libero arbitrio. Se dunque Dio stesso lascia liberi i suoi figli di scegliere tra il bene ed il male, a maggior ragione ai demoni è interdetta la conoscenza del processo cognitivo umano o delle azioni che originano dalla volontà (p. 177). Ora, per quale motivo l’antichità è piena di credenze secondo cui il futuro fosse ad alcuni anticipato in sogno? La risposta del cardinale è semplice: “l’antichità fu oltremodo superstiziosa e intenta ad ogni minuzia” (p. 183) e la spiegazione di ciò è straordinariamente moderna, e cioè che queste predizioni sono solitamente reinterpretate ed adattate “dopo che i fatti erano successi … Accade la stessa cosa nelle previsioni degli avvenimenti in base all’influsso celeste: avvenimenti che si ritiene allora siano stati previsti, quando cioè sono accaduti. Anche le più antiche testimonianze storiche – parlo di quelle profane – consta che sono state di fatto messe in dubbio anche dagli antichi profani, tanto che ai greci fu tolta la credibilità e fu ritenuta sospetta la credenza superstiziosa dei latini” (p. 184). Non fa meraviglia, poi, che il cardinale considerasse i demoni all’origine dell’eresia: secondo la testimonianza oculare di persona cui era appartenuta la casa dove risiedeva Zwingli, il riformatore svizzero sarebbe stato visto dal buco della serratura parlare con il demonio in persona (p. 189). Della dottrina degli anabattisti è pure responsabile il demonio: per il cardinale, infatti, i demoni si servono di vaticini “santi” che auspicano un rinnovamento della Chiesa e raggiungimento di uno stadio di maggior perfezione per piegarli ai loro fini funesti, ed inducono “le sette degli eretici a farsi come maestre della riforma della Chiesa, e a questo titolo specioso, hanno construito la loro credibilità e il loro insegnamento con menzogne e scelleratezze” (p. 189).

Il tema della conoscenza dei demoni riconduce ad un problema di natura teologica molto importante, cioè si interroga sulle ragioni che favorirono la caduta di quegli angeli (che poi divennero demoni), e che il cardinale fa risalire ad una combinazione di invidia (pp. 211, 214) ed ignoranza: Lucifero non capì “quanto ignobile e grave fosse la rovina di allontanarsi dalla volontà di Dio e di essere suo nemico” (p. 214). Nel tema dell’operatività dei demoni rientra la questione dei poteri magici tradizionalmente attribuiti alle creature sataniche. Ebbene non solo gli uomini che vantano di saper esercitare quest’arte in sommo grado attirano su di sé soltanto scherno, poiché “promettono … cose che non possono dare”, ma gli stessi demoni sono impediti da Dio nell’esercizio della magia perché “se la divina provvidenza non lo facesse, sarebbe gravemente perturbato l’ordine universale e tutto precipiterbbe verso il peggio” (p. 265).

Ancora una volta il cardinale mostra di avere una sensibilità ed una razionalità da far invidia a molti dei nostri contemporanei, i quali come apprendiamo dalle statistiche, fanno ancora affidamento su di oroscopi e talismani. Il De cognitionibus è a nostro giudizio meno accattivante del Paralella cosmographica, parzialmente a causa del fatto, come per Francesco di Ciaccia, che il testo si presenta meno organico sia da un punto di vista strutturale che contenutistico. Eppure il pregio di quest’opera sta precisamente nel tentativo di offrire un quadro unitario di una disciplina che a tutt’oggi, benché la Chiesa Cattolica sia lungi dal dubitare dell’esistenza del demonio, organica non è, e mai lo sarà, per la stessa natura dell’oggetto in questione.

Con grande erudizione e minuzia scientifica, Francesco di Ciaccia persevera nel merito di mostrare al pubblico dei contemporanei come un ecclesiastico del diciassettesimo secolo sappia trattare un tema che anche oggi esporrebbe grandi esperti al ridicolo, senza mai perdere di credibilità scientifica e teologica. University of California, San Diego. Ginevra Crosignani

 

Felice Accame, I demoni del rischio, Radio Popolare, 25 aprile 2010.

Federico Borromeo (1564-1631), cugino di quel Carlo assurto lo sa Dio come alla dignità di Santo, arcivescovo di Milano a 31 anni, fondatore della Biblioteca Ambrosiana e, ne I promessi sposi del Manzoni, personaggio – a rappresentare cristianesimo puro e dedizione intelligente -, Federico Borromeo ha scritto, tra l’altro, De cognitionibus quas habent daemones liber unus (“Cosa diavolo sanno i demoni”, traduciamolo così), che recentemente, per la cura attenta e scrupolosa di Francesco Di Ciaccia, è stata ripubblicato dalla Biblioteca Ambrosiana stessa e da Bulzoni editore.

La tesi che Federico Borromeo sostiene nel libro è che questi demoni abbiano conoscenze piuttosto limitate. In particolare, per loro costituzione, non riescono ad accedere ai “moti della volontà” altrui, ovvero a tutti quei processi dell’animo umano che fan sì che ci si occupi di una cosa piuttosto che di un’altra. Di ciò non possono avercene un’idea – se non “accidentalmente” o tramite gli effetti che ne scaturiscono. Anch’io – come un demone qualsiasi – non posso avere conoscenza del pensiero altrui, ma – in proposito –, un po’ come fan tutti, cerco di arrangiarmi.

Illustrando le difficoltà cui vanno incontro i demoni per penetrare nel pensiero umano, Borromeo riutilizza anche un noto racconto di Tacito, presumibilmente già di seconda o di terza mano – un racconto la cui traduzione fu parzialmente inflitta qualche anno fa anche agli studenti che volevano superare l’esame di maturità. È quello che narra della passione dell’imperatore Tiberio per l’astrologia, delle noie di cui si era dovuto caricare per trovarne uno buono e del modo in cui, finalmente, uno buono – un astrologo veramente in gamba – l’abbia trovato. Tiberio, dunque, aveva preso l’abitudine di ingaggiare un astrologo e di portarlo a passeggio con lui nella parte più alta della sua villa con vista mare arroccata su una scogliera. Godendosi il fresco interrogava l’astrologo di turno e, se questi tradiva ignoranza o millantato credito – o, più semplicemente, se forniva oroscopi poco favorevoli -, sulla via del ritorno, lo faceva buttar giù dalla scogliera. Ora, ammettendo pure che la tivù di regime non ne parlasse, a mio avviso va da sé che una tal volatilità di astrologi non poteva passare del tutto inosservata. Quando venne il turno di Trasillo, infatti, le cose si svolsero diversamente. Alle ovvie richieste dell’imperatore, Trasillo risponde presagendo potere sempiterno e fauste sorti, ma, così facendo, ne aizza anche i sospetti. Mussolini, in queste cose, non era tanto diverso da Tiberio: quando incontra Rol, teme il ciarlatano, ma non sa fare a meno della certezza di un roseo futuro. Fatto sta che Tiberio – giusto mentre si accingono alla discesa – decide di metterlo alla prova e gli chiede se ha studiato il proprio, di oroscopo; cosa gli dicono le stelle per il giorno stesso. A questo punto, Trasillo deve aver cominciato a sudare freddo, ma, essendo persona perspicace prima che valente astrologo, si impegna in complicatissimi calcoli circa le posizioni e le distanze di questo o quell’astro. E, palesemente, si impaurisce, lo dà a vedere fino a che Tiberio gli chiede che gli ha preso. Al che l’astuto Trasillo si gioca l’unica carta che gli rimane e dice all’imperatore di sentire su di sé un’oscura, improvvisa, immediata minaccia. Tiberio è una pasta d’uomo, abbocca e lo abbraccia congratulandosi con lui – non vede l’ora, d’altronde, di poter credere negli oroscopi favorevoli e, se fa fuori l’astrologo, ogni fondamento dell’oroscopo crolla con lui. Se lo terrà quindi caro, prezioso consigliere, per lunghi anni – una sorta di archetipo dell’intellettuale di sinistra.

In molti hanno ritenuto che sia stata la sua competenza astrologica a salvargli la pelle – che, effettivamente, le stelle avessero parlato al terrorizzato Trasillo all’apice del suo dramma -, ma Federico Borromeo non ci casca. Dice che “la scaltrissima divinazione di Trasillo fu opera dei demoni” – altro che stelle.

Un vecchio trucco utilizzato da alcuni galleristi, in occasione di mostre d’arte, consiste nell’applicare un minuscolo bollino rosso in un angolino basso della cornice. Significa – nel linguaggio richiesto dalla discrezione signorile – che il quadro è già stato venduto. In alcuni casi può esser vero – perché no ? -, ma in altri casi è frutto di un astuto calcolo. Se qualche quadro è già stato venduto – più o meno è questo il ragionamento retrostante -, significa che il pittore ha successo, che le sue quotazioni sono in rialzo, che c’è dell’interesse nei suoi confronti. Allora – anche se di quadri non ne sono stati venduti affatto -, qualche bollino rosso qua e là – secondo il principio che sono sempre in tanti a voler salire sul carro del vincitore, secondo il principio che più una merce sembra richiesta e più è richiesta davvero – può incentivare le vendite.

Che il trucco, però, comporti un rischio è evidente. Se il quadro è già stato venduto non è più in vendita – e, dunque, diminuiscono le merci in offerta. Diciamo che qualche esemplare – a ragion veduta o a ragion da vedersi – viene sacrificato alla propaganda. Una volta convinto qualcuno ad acquistare un’opera d’arte, poi, sull’esemplare vero e proprio ci si può sempre mettere d’accordo. Di solito si compra una firma e l’aura che la circonda, quasi mai quella specifica opera e solo quella.

Non ritenendo sufficiente quello sul portone, sulle finestre di un appartamento in un palazzo al primo piano non lontano da casa mia, per un lungo periodo – mesi e mesi, forse qualche anno – era stato affisso il cartello di “vendesi”. Da qualche giorno sui medesimi cartelli – di traverso – ne è stato aggiunto un altro: “venduto”. Parrebbe una diseconomia stridente. Se l’appartamento è stato venduto andrebbe da sé che i cartelli siano tolti: l’appartamento non è più in vendita, perché è già stato comprato. Non siamo in una galleria d’arte. Quell’appartamento, in quel palazzo, era l’unico in vendita. Quello non è l’esemplare di una lunga serie e invogliare qualcun altro al suo acquisto, quando l’acquisto è già avvenuto, è privo di senso – non comporta utile alcuno.

Invece, a ben intrufolarsi da demonietti nel pensiero altrui, non si tratta di un caso di diseconomia, ma di un raffinato uso del linguaggio nella sua funzione persuasoria. L’immobiliare canta gloria e invita a salire sul proprio carro. L’immobiliare che aveva ricevuto l’incarico di vendere l’appartamento vuol far sapere al mondo intero di aver adempiuto alla propria missione. Contro la concorrenza, lo grida ai quattro venti per far sì che altri proprietari smaniosi di vendere il proprio appartamento le affidino la fatale delega. Se la pubblicità è l’anima del commercio, anche la metapubblicità è l’anima del metacommercio.

Il pensiero altrui è un ginepraio, il linguaggio non sempre aiuta o, meglio, non sempre aiuta la sua espressione esplicita. L’astuto Trasillo, l’astuto gallerista e l’altrettanto astuto immobiliarista sia che negozino la propria vita, l’opera d’arte o la casa affrontano rischi e cercano di calcolarli al meglio in rapporto all’utile loro. Agli interlocutori tocca arrangiarsi alla meno peggio nel non detto per limitare i danni – soprattutto se si è ingenui acquirenti. Diverso è il caso degli imperatori.

Svetonio racconta l’episodio di Trasillo in modo significativamente diverso. “Anche l’astrologo Trasillo”, dice, “gli diede prova del proprio sapere avvertendolo che una nave, avvistata in lontananza, gli avrebbe dato la gioia, mentre Tiberio, poiché le sue cose andavano sempre peggio, aveva deciso proprio in quel momento, mentre stavano passeggiando insieme, di precipitarlo in mare”. Qui coraggio eventuale, competenza astrologica e astuzia servono ancora meno. Si può effettuare una duplice scommessa piuttosto facile. Prima che la nave arrivi a destinazione, dalla scogliera si ha fatto in tempo a scendere e se qualcuno sta arrivando da uno come Tiberio è più probabile che gli porti notizie buone che cattive.

Note
In un commento alle prove per l’esame di maturità, Luciano Canfora racconta la vicenda di Trasillo in modo ancora diverso. Dice che “se la cavò perché predisse a Tiberio che un grave pericolo, forse fatale, lo minacciava. Tiberio fu grato perché poteva prevenire e cautelarsi”. Con il che i rapporti tra l’astrologo – mai stato in pericolo – e il cliente – mai avuto cattive intenzioni – sarebbero ricondotti alla normalità. Cfr. “Il Corriere della Sera, 24 giugno 2005. Mi scuso di non aver avuto il tempo sufficiente per verificare la versione dei fatti alla fonte – che è il sesto libro degli Annali di Tacito. Cfr., poi, F. Borromeo, De cognitionibus quas habent daemones liber unus, a cura di F. Di Ciaccia, Biblioteca Ambrosiana e Bulzoni Editore, Milano e Roma 2009 e cfr. Svetonio, I dodici cesari. Gli uomini illustri, Rizzoli, Milano 1968, pag. 163 – nella traduzione del vecchio amico Felice Dessì.

 

Armando Torno, Le streghe di piazza Vetra: in nove finite sul rogo, «Corriere della Sera», 2 agosto 2010, p. 5.

A Milano durante l’episcopato di Federico Borromeo, tra il 1595 e il 1631, furono bruciate nove streghe (i loro processi sono conservati in un armadio di ferro nell’archivio della Curia). Il luogo delle esecuzioni fu quello abitualmente utilizzato dalla giustizia del tempo: piazza Vetra. In città operava un esorcista di fiducia del cardinale, fra’ Francesco Maria Guaccio (o Guazzo), che scrisse il Compedium maleficarum (prima edizione Tradati, Milano 1608; la seconda stampata nel 1626 dalla tipografia dell’Ambrosiana). Alla fine del secolo scorso Luciano Parinetto lo definì «squallidissima epitome persecutoria certo cara alla inquisizione milanese». Nel primo libro, una frase fa sobbalzare: «I malefici e le lamie (cioè stregoni e streghe) usano compiere l’atto sessuale quelli coi demoni succubi, queste con i demoni incubi». Guaccio era nato a Milano nell’ultimo quarto del Cinquecento e fu chiamato in diversi Paesi europei per la sua autorità nelle questioni di stregoneria. Praticava esorcismi nella sacrestia della Chiesa del Carmine. Queste notizie dobbiamo tenerle presenti riaprendo un’opera di Federico Borromeo che ora, curata con competenza da Francesco di Ciaccia, ritorna in libreria: De cognitionibus quas habent daemones, ovvero Le conoscenze che hanno i demoni (Bulzoni Editore – Biblioteca Ambrosiana, pp. 288, euro 20). È il compendio milanese più interessante in materia e in esso si possono trovare le considerazioni del cardinale caro ad Alessandro Manzoni sulle menzogne e le astuzie che questi esseri infernali possiedono, sul loro amore per le cose turpi, persino sugli odori che li caratterizzano. Fa impressione leggere un passo come il seguente, quasi sicuramente proferito in una confessione da una strega meneghina, dopo aver ammesso la partecipazione a un banchetto con il diavolo: «I cibi non erano amari né tanto sgradevoli, ma proprio non avevano quel sapore naturale che sentiamo mangiando comunemente, e che infine ne seguiva disgusto e nausea». Milano, detto in parole semplici, non si fece prendere dalla febbre della caccia alle streghe che colpì non poche regioni d’Europa, ma ebbe le sue vittime e soprattutto i testi che ne certificavano la repressione. Del resto, oltre la Vetra e il Carmine, nel capoluogo lombardo si credette di vedere il demonio arrivare in carrozza con paggi e sei cavalli bianchi il 16 agosto 1630 e andare in Duomo a discutere con i teologi. Sciocchezze? No, è scritto in un documento, tradotto anche in tedesco, recuperato da Ermanno Paccagnini in Ambrosiana tra le carte di Federico. Il quale, va detto a suo merito, proprio non credette alla storia. Anche se molti descrissero fisicamente quel diavolo. Torno Armando

 

 

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