Per la madre di Cecilia
Francesco Di Ciaccia, Mater dolorosa
Pinacoteca privata
(Inedita)
Per la madre di Cecilia
Scendeva dalla soglia lentamente
con la sua bimba, appena morta, in braccio,
non era ancor vissuta ed era spenta:
ma era per un male che pareggia l’erba.
Pareggia l’erba, non pareggia il cuore:
sua madre la sentiva il più bel fiore.
Il più bel fiore d’un amore infranto:
il volto le rigava un mesto pianto.
Erano lacrime di un’offerta a Dio,
era una prece a chi non crede in Dio:
domani anch’io verrò con la mia bimba,
pensate a lei…
Chi accende di nuovo il lumignolo
spento, chi fa rifiorire
il giglio spezzato, chi rende di nuovo
il dono perduto? La mano conserva
il rifiuto,
le braccia si stringono il vuoto,
gli occhi non vedono amore
domani.
La terra s’è fatta deserto,
carcasse ai tuoi piedi ingombrano
il pianto
sul viso: tu vivi già morta.
Cos’è questa stanza
senza
il tuo piccolo grido, senza
il sorriso
che bagni il tuo volto, il sole che sorga
senza il tuo corpo malato? La vita ci ha tolto la vita
e aspettiamo la morte: sollievo ormai atteso,
una fine pregata. Nel cuore,
il corpo lasciato sul carro: è davanti,
come dono sfuggito di mano, che cade
e si rompe.
Le lacrime bagnano i cocci.
Ti affidiamo i cocci dispersi
per terra,
le membra derise: porteremo
fino a domani
dentro di noi
la vita
lasciata
sul carro.
Non attendere troppo.