Familiari (I), 2015

Frate Pace e Bene. Padre Bartolomeo Maria Faldrini da Chiesa, minore cappuccino, a cura dei Familiari, [Tipografia Lito Polaris, Sondrio, 2013], in Literary.it, 2 (2015).

 

Copertina, Padre Bartolomeo M. Faldrini

Testo della recensione

Il volumetto, edito a cura dei familiari, su Frate Pace e Bene, vale a dire su Padre Bartolomeo Maria Faldrini da Chiesa, minore cappuccino – come recita il titolo completo -, in sopracopertina mostra una foto di un frate, già in età avanzata, con i piedi appena entro l’acqua del mare, accanto ad un cane lupo, anch’esso con le zampe in acqua, mentre l’immagine in prima pagina del libro è quella di un frate cappuccino, sorridente, con il breviario, chiuso, tenuto con la mano sinistra appoggiata all’altezza del petto: tipica maniera di tenere il breviario, quando non lo si usa per la recita delle Ore canoniche, da parte dei Padri cappuccini, almeno quelli d’un tempo.

Leggendo la notizia biografica relativa al nostro Padre Bartolomeo, ho colto il senso di quella foto e dell’acqua: è il senso della trasparenza. Padre Bartolomeo Faldrini è “una trasparenza che sorride” – recita il titolo dell’intervento di Padre Costanzo Cargnoni. Poi, la foto con la quale si apre la sezione dedicata alla biografia di Padre Bartolomeo (a firma del confratello Padre Andrea Bastiani), a me sembra avallare quello che Padre Costanzo Cargnoni afferma del Padre Bartolomeo: “apostolo con la forza del gaudio dello spirito, la dolcezza della pace e del bene” – e della semplicità cappuccina, aggiungerei, che comunque rientra nella “luce del carisma cappuccino”, come dice il medesimo testo di Padre Costanzo e come poi si trova espresso, sempre nel medesimo testo, poco dopo, quando lo stesso Padre Costanzo parla della “trasparenza di una luce interiore, che con serenità e semplicità [il Padre Bartolomeo] riceveva da Dio”.

Trovo molto eloquenti tutte le suaccennate foto del Padre Bartolomeo, e altre ancora – come quella del 1970, in cui egli è accostato famigliarmente dalle piccole pronipoti Cinzia, Antonella e Cristina, a Chiesa di Valmalenco -, perché mostrano col viso, col tratto, con il sorriso e la limpidezza degli occhi le caratteristiche precipue di lui: benevolenza, dolcezza verso il prossimo, amabilità spirituale, quella per la quale era universalmente noto come il frate di “Pace e bene”.

Da questa attitudine fondamentale io penso che discendesse la particolarità del suo carisma: consolare e visitare gli infermi. Poi, se non riuscì ad andare in missione – cui aspirava mirando anche all’apostolato tra i lebbrosi, come egli stesso confessò scrivendo ai suoi superiori -, fu tuttavia impiegato dai superiori in centri missionari in Italia.

Ma ora mi piace soffermarmi su qualche elemento della sua corrispondenza privata – che, per fortuna, resta tramandata ai posteri, poiché conservata dai famigliari, mentre, da parte sua, Padre Bartolomeo non ha voluto lasciare molti scritti – tiene a informare l’archivista Padre Costanzo Cargnoni.

Le lettere mostrano un frate che nei momenti opportuni rammenta i doni soprannaturali ricevuti – come quello del battesimo, con il quale anch’egli è diventato “figlio adottivo di Dio ed erede del Regno dei cieli” (alla mamma e ai famigliari, dal convento di Lovere, 19/04/1939), ma in genere le circostanze della vita quotidiana, dato che i suoi corrispondenti vivono la vita comune tra problemi e speranze di tutti i giorni, e ci sono anche notizie di doni, in genere di beni commestibili, ricevuti dai famigliari. Ciò mi induce a ricordare come il nostro Padre Bartolomeo abbia trascorso una decina d’anni – circa dal 1949 al 1959 – in conventi di varie parti d’Italia, soprattutto in Calabria, non solo per l’assistenza spirituale dei novizi cappuccini, ma anche per quella delle popolazioni del luogo, alle dipendenze della Pontificia Opera di Assistenza: una vita dura, che lo porta anche in zone disagiate – non senza qualche infortunio -, e, all’epoca, povere di mezzi di sostestamento. A tal riguardo vale la pena di ricordare come, ad esempio, suo fratello Giuseppe si preoccupi – si era nel 1954 – per una ferita al piede causata al Padre Bartolomeo da un incidente e come gli scriva esortandolo a non essere troppo austero, con l’andare sempre scalzo, a risparmiarsi un po’, a non patire tanto freddo ai piedi, finché almeno ha la ferita dolorante. Si tratta, dunque, di pensieri semplici e umanissimi, come quando il frate vede nel dono natalizio di sua sorella Giovanna “la cura premurosa e affettuosa della cara Mamma” (dal convento di Brescia, 09/01/1969), ormai defunta – e qui siamo nel cuore dell’affezione verso i propri genitori, i quali, come ricorda il Padre Bartolomeo, ci hanno messo al mondo e poi ancora ci hanno permesso di consacrarci al Signore in convento. E allora voglio sottolineare come alcune occasioni di corrispondenza tra il frate e i suoi familiari siano offerte proprio dalle ricorrenze non solo di onomastici, ma anche di compleanni: un modo, appunto, di riandare, con il pensiero, anche ai genitori. Ed infine non manca, tra i sentimenti espressi nella corrispondenza, il desiderio da parte dei familiari di avere il loro congiunto di nuovo più vicino alla loro zona di residenza, in pratica il desiderio che egli sia rimandato nella sua Provincia cappuccina della Lombardia – come la sorella Giovanna, ad esempio il 27/07/1955 -; l’auspicio è anche nel cuore del frate, il quale comunque, come del resto i suoi parenti, permane sempre nella disposizione, dichiarata espressamente, di eseguire la volontà dei superiori.

Mi piace concludere questa breve presentazione ritornando alla peculiarità attitudinale del nostro Padre Bartolomeo, a quello che oserei dire sia stato il suo carisma: l’attenzione nei confronti degli ammalati. Ciò risalta anche, se non precipuamente, nella sua corrispondenza con i famigliari. Egli infatti, come s’è detto, era stato mandato a Chiaravalle Centrale di Catanzaro per la cura dei novizi; e anche lì egli si recava a trovare i malati. Alla sorella Giovanna, ad esempio, il 2/04/1951: “Ogni giorno vado a un Santuario vicino a trovare i poveri Ammalati” – scritto con l’iniziale maiuscola, quasi si trattasse di un nome d’onore! E si premurava di ragguagliare i destinatari delle sue lettere circa la loro situazione, chiedendo anche preghiere per loro: “Tra i miei cari ammalati alcuni sono gravi e ti domando preghiere anche per loro poveretti e specialmente per la loro anima” (alla sorella Giovanna, da Chiaravalle Centrale, il 20/01/1952).

In effetti Padre Bartolomeo, pur dedito con grande disponibilità al ministero delle confessioni, nella sua azione pastorale ebbe preferenza per il mondo della sofferenza – scrive Padre Andrea Bastiani -: per anni, dal convento di Brescia si recava ogni giorno, la mattina e il pomeriggio, instancabilmente, a visitare i malati, di casa in casa, oppure all’ospedale, nella clinica, nella casa di riposo. Il motivo: “sapeva che quando si soffre nel corpo facilmente si è tentati di accasciamento e di ribellione a Dio”; quindi voleva aiutare gli ammalati “ad accettare la sofferenza con spirito di fede, perché, inserita in quella di Cristo, fosse meritoria”. E in effetti – con questo ultimo particolare ritorniamo ancora all’inizio del nostro itinerario – la sua parola dolce, il suo sorriso, soprattutto “la sua viva partecipazione alle loro pene” – precisa il medesimo Padre Andrea Bastiani -, accompagnato dal saluto francescano di “pace e bene”, “risvegliava negli ammalati fiducia e rassegnazione”. [Francesco di Ciaccia]

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