Macchi, Elena, 1998

Poesia dell’essere, recensione di Elena Macchi, Vai al cuore dell’essere, Prefazione di Eugenio Borgna, Postfazione di Margherita Conterio, Milano, Laser, 1998, pagine 48, «Rosetum», 6 (1999) pagina 25.

 

Copertina, Macchi

In copertina: grafica di Ayra Tedesco

 

 

Testo della recensione

È difficile coniugare filosofia e poesia, ma Elena Macchi non sembra avere dubbi: le due esperienze si radicano nella stessa pulsione mentale.

E per lei sono inscindibili. Del resto, il pensiero di Isaac Newton, posto come exergo del libro, ne è esso stesso un esempio: “Io mi vedo come un bambino / che gioca sulla riva del mare, / e di tanto in tanto / scopre un ciottolo più levigato / una conchiglia più bella delle altre, / mentre davanti mi si stende inesplorato / l’immenso oceano della verità”. E la “verità”, d’altra parte, è il fine della poesia: nel senso che l’arte è di per sé tensione verso il vero. Ogni pulsione d’artista ne ha una visione e una immagine, ne scopre una dimensione, ne svela un segreto. Un segreto tutto intimo, personale, poiché viene dal profondo della propria persona; ma che squarcia un po’ il velo dell’essere. Se infatti “la natura profonda delle cose ama nascondersi” – come ricorda l’autrice citando da Eraclito -, allora a volte l’intuizione, che procede dalla sfera irrazionale dell’uomo, è più penetrante, direi più adatta a navigare nel mare dell’essere. Come ha già riflettuto, tempo addietro – concordando in ciò con Heiddeger – in un suo scritto Raniero Cantalamessa, sacerdote cappuccino e predicatore della Famiglia Pontificia, i poeti hanno colto la verità, e l’hanno detta, molto meglio di tanti filosofi. L’abbrivio per questo viaggio di conoscenza è subito indicato nell’involarsi “sulle immondizie del mondo”: trascendere la meschinità della terra, rinchiusa nella dannazione dell’egoismo affaristico, per vedere se mai ci sia anche “luce”, cioè se l’amore vinca le tenebre. Se così fosse, “ogni cosa sarebbe nuova”. Ed è la nuova creazione: un nuovo orizzonte d’esistere. Su questa presupposizione intuizionale si snodano le canzoni – oserei dire – dell’autrice: ella vede una Unità superiore ed immensa, come un Unico Corpo Celeste, nel quale ogni cosa contingente prende vita e fuori del quale sussiste dispersione. Il piano di interesse non è tanto esistenziale quanto metafisico, come ho avvertito; ma nel respiro cosmico dell’Essere, nella sua unità e nella sua eternità – come cicli inesauribili e vivi (la “Esistenza all’essenza tornerà”, e l’essenza all’esistenza) -, si sente la psyché, tutta l’anima di chi combatte e muore, muore e rinasce, sulle strade del mondo. Ed è una psyché al femminile – osserva Margherita Conterio nella postfazione. Femminilità significa armonia, sentimento, sensazione di vita. Delicatezza e fremito di sensi. Significa canto libero. Natività e rinascenza: sempre all’alba della vita. Significa lasciar sempre nascere “nuova vita”: dentro di sé, e nell’aria, nella natura e nel cuore dell’uomo. Grazie a questa combinazione, anch’essa tutta femminile, di pensiero e di sensibilità, scorrono a volte poesie concettuali, a volte versi lievi, e “bacio l’onda, le stelle sul castello / il glicine avvinto al pergolato / la tonda muta luna sorridente”, con un tocco addirittura gozziniano. Tuttavia io non trovo dicotomia o separazione tra i due momenti filosofico e sensoriale, spirituale e corporale. L’unità è data dalla natura stessa delle cose è detto espressamente in un brano tratto da Eraclito e dal modo in cui l’autrice le coglie. La realtà ontologica si concretizza nella vita del mondo, e la vita del mondo simboleggia continuamente la natura intima delle cose. In quest’anima disincarnata si uniscono “ciclo e terra”, come in una lirica si esprime l’autrice. [Francesco di Ciaccia]

 

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