Pahomi, Carmen, 1999

Le fiabe della bontà e della saggezza, recensione di Carmen Pahomi, La lacrima della Luna. Fiabe popolari rumene, Introduzione e traduzione di Claudio Mutti, Milano, Terziaria (Letture 2), 1999, pagine 87, «Rosetum», 11 (1999) pagina 19.

 

Testo della recensione

Il genere fiabesco si inscrive in un contesto culturale che da significato alle figure simboliche. Nella introduzione sintetica, e molto chiara, Claudio Mutti offre alcune coordinate concettuali che fecalizzano le immagini chiave delle presenti fiabe. Io qui annoto altri aspetti, che si possono cogliere di primo acchito in una lettura “ingenua”. L’impronta fondamentale di queste fiabe rumene è costituita dal valore della bontà e della saggezza. Per il vero, l’idea della saggezza offre ansa a differenti e magari contrastanti concezioni filosofiche; ma quella della bontà è univoca: è il cuore che sa comprendere gli infelici, i miseri, e che di fronte alle disgrazie altrui non guarda ad altro interesse se non quello di sollevare il bisognoso.

Emblematicamente, la figura ricorrente che esprime il dolore della vita è quella del bambino. L’infanzia è di per sé l’età della debolezza e suscita facilmente sentimenti di tenerezza; e, se si tratta di un bambino infelice, che soffre per la perdita dei genitori e patisce solitudine e povertà, allora il cuore si scioglie in compassione profonda.

Eppure, anche di fronte a questa toccante desolazione, può trovarsi un animo insensibile, duro, cinico. Solo un vecchio ha pietà di una bambina che, rimasta orfana, vive da sola con la sua bambola che sembra reale come una sorellina. Il vecchio della storia (La fabbricante di pupazzi) è in realtà un re in incognito; egli compenserà la piccola venditrice di pupazzi accogliendola nel proprio palazzo reale. La favola – questa, e altre – è a felice esito, ad insegnare che la vita, quando è affrontata con coraggio e con animo puro, paga sempre. Per contro, l’avidità, l’orgoglio, la durezza di cuore, atteggiamenti che portano il dolore nel mondo, alla fine attirano disgrazia e infelicità a chi li coltiva, anche se per un momento brillano negli occhi degli uomini.

Il personaggio della saggezza è sempre la figura di un vecchio. La più alta sentenza del Vecchio, rivolta, ancora, ad un povero fanciullo orfano e solo, è nella lezione che così suona: “Tu sei”. In altri termini, il supremo valore è sapersi, è vivere se stesso, è riconoscersi di essere (Il discepolo Daniil). Al di fuori di questa ricchezza, ogni altro possedimento è come la sabbia desertica: in cui si disintegra il potere del mondo, e rovinano i suoi sostenitori (Rovine nel deserto).

 

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