1982, CRend., San Francesco e la pietra

San Francesco e la pietra, Il «San Bernardino» nella chiesa di Santo Stefano, «Campane di Rendena», 72 (1982), pp. 60-63.

Testo dell’Articolo

All’imbocco della Val Genova alle pendici dell’Adamello, la distesa di abeti strapiombante sul cuneo profondo del Sarca rumoreggiante circonda l’antica chiesetta cimiteriale di Santo Stefano, costruita (sec. XIV), nel luogo di un precedente castello, sulla roccia. Sono anche visibili alcune parti, sia esterne che interne, rocciose: in particolare, alla base della torre campanaria di pietra rozzamente squadrata, a sinistra dell’unica navata, uno «zoccolo», come un basamento rupestre, dell’ampiezza di una «cella» del tipo che ancora si osserva a Celle di Cortona e che ricorda quelle di Fontecolombo 1, della Verna 2, ecc. Qui, non per coincidenza così fragile ed esteriore, ma per l’insegnamento di tutta una spiritualità, ricordiamo colui per il quale il «letto […] era, per lo più, la nuda terra»: molto spesso dormiva «[…] con un sasso sotto il capo» 3. Se i monti e gli «spechi» dell’Assisiate sono lontani dal Trentino, esprimono comunque proprio quello stesso spirito che guidò i suoi seguaci anche fra queste valli e questi monti, per l’identica funzione che i luoghi della solitudine rupestre rivestirono per san Francesco.

Fu tra le asperità della pietra che Francesco diede, ed ebbe, i migliori insegnamenti. A Sarteano (Siena), ad esempio, egli insegnò la povertà attraverso la «cella fatta di roccia»: come la pietra è dono universale di Dio, così l’uomo nulla deve considerare con tale esclusività, da rifiutare ai fratelli ciò che egli usa 4. In questo senso, la povertà francescana, a parte il suo fondamento rigorosamente evangelico, ha una prossimità concreta allo spirito «alpino»: ogni bene resti fruibile per tutti. La cella di «pietra» richiama, nei testi francescani, la povertà delle «suppellettili», e questa chiesa cimiteriale magnificamente la onora. «Tutto doveva proclamare quasi in canto il loro (dei frati) stato di esuli e di pellegrini» 5. Così, senza «risentimento sociale» e senza la debole pretesa che la povertà possa mai venir «imposta dall’esterno» 6, Francesco d’Assisi insegnò a tutti i tempi lo spirito di comunione e la radicale disponibilità, individuale e sociale, dei beni.

Senza parlare di Fontecolombo, sul quale Francesco scrisse, ispirato, la Regola 7, e di Greccio, la roccia del Presepio, richiamiamo solo il dolce e prodigioso suo affetto per la Verna. Fu qui che il rude uomo, saputo che un frate nutriva «gran desiderio» di avere da lui «qualche scritto con le parole del Signore, firmate di sua propria mano», redisse quel monumento di semplicità e di amore che è la Benedizione a frate Leone 8. Fu qui che l’austero soffrì rischi e pericoli, su «orribili e paurosi precipizi», come raccontano i Fioretti con significative immagini 9, ma anche ricevette «grandi consolazioni» 10. Delicatezza fraterna e durezza di vita accompagnano indefettibilmente la vita dell’Assisiate, e si uniscono intimamente nella sua ricchissima personalità 11.

È chiaro dunque che Francesco «camminava con riverenza sulle pietre» 12: sia «per riguardo a colui che è detto Pietra», sia per il dono divino della pietra stessa, che educa alla pazienza e quindi alla comprensione fraterna. Se il poeta non inserì nel Cantico delle Creature la lode «per» la pietra, fu perché, a nostro avviso, essa restava troppo aliena dalla coscienza generale. Il Cantico, infatti, mediato dalla compartecipazione di amore, nella fede, con l’universalità degli uomini, contiene solo elementi la cui gratificazione possa essere «popolare», o debba cristianamente esserlo (come il «perdono», la «morte»); la «lode» a Dio vi riveste dunque un carattere universale, valido per la gente comune che spera, gioisce e soffre nel quotidiano 13. Le Lodi di Dio Altissimo 14, invece, più teologiche che popolari, scritte in latino e non in volgare, offrono un riferimento alla natura della «pietra»: «Tu sei forte» (v. 2), «Tu sei pazienza» (v. 7), «Tu sei temperanza» (v. 9), «Tu sei fortezza. Tu sei rifugio» (v. 11). Del resto, «custodia» e «misericordia» sono i concetti di fondo di quella Benedizione a frate Leone che Francesco stilò «nel crudo sasso intra Tevero ed Arno» 15, il monte delle stigmate, definito da Giuseppe Manni «monte arduo» 16. Acutamente dunque Giacomo Zanella introdusse nel «coro» delle creature, che Francesco «chiamava […] / a benedir l’Eterno», «le montagne», formatrici di quel «sembiante impresso / d’austerità soave» 17, che rimanda alla definizione del luogo francescano di Cortona, da parte di Giulio Salvadori, come «dolce montagna» l8.

La stessa consuetudine con la «pietra» non ebbe, per l’Assisiate, il senso del «mistico annullamento, ma (quello del) vivere con Cristo in tutta la ricchezza delle gioie, degli affetti, delle sofferenze in cui si articola la meravigliosa vita dell’uomo che crede» 19. Come Gesù, Francesco sentì il richiamo dei «luoghi solitari».

La storia francescana, sia delle origini sia della riforma cappuccina – che maturò le prime Costituzioni sulle montagne di Fabriano, nel 1528 e 1529, nell’eremo di Santa Maria dell’Acquarella di Albacina, «luogo remoto e di difficile accesso» 20 –, testimonia questa componente originaria di vocazione.

Su questo fondamento storico-spirituale si giustifica la presenza di un “San Bernardino da Siena” nell’affresco della chiesetta di Santo Stefano in Carisolo. Fra personaggi molto più antichi e di primissimo ordine, quali San Sebastiano e Santo Stefano diacono, martiri, per citarne alcuni, il San Bernardino, anch’esso affrescato da Simone Baschenis (1461) 21 e riproposto nella chiesa di San Vigilio a Pinzolo 22, si spiega con la tradizione, sostenuta da molti scrittori, dell’attività apostolica di San Bernardino, e quindi dei suoi confratelli, nel Trentino, e col suo culto. In effetti, solo otto anni dopo la sua morte, e due dopo la canonizzazione, fu eretto a Trento il primo convento francescano dedicato al Santo 23; nel polittico della chiesa conventuale fu realizzata una formella di San Bernardino, con monogramma cristologico, proprio alla fine del ‘400 e inizi del ‘500, mentre probabilmente, alla fine del ‘400, fu raffigurato il Santo in un affresco della cattedrale, uno dei pochi affreschi dell’epoca in essa conservati, nella parete occidentale.

I frati dell’Osservanza erano già presenti a Trento, a Riva e, proprio dagli ultimi decenni del ‘400, a Santa Maria delle Grazie presso Arco; inoltre, si ricorda una chiesa dedicata a San Bernardino da Siena a Ravazzone di Mori, nel 1480; a Sabbionara, nel 1457, in cui il Santo è ora, nella nuova chiesa, raffigurato nella pala dell’altare maggiore (opera di Giuseppe Poppini di Schio, 1846); a Bivedo di Bleggio, nel 1537, in cui l’antica devozione popolare sopravvive nella toponomastica dei «piani di San Bernardino» e nella dedicazione di alcune chiese pievane e cappelle.

Soprattutto da Santa Maria delle Grazie presso Arco, e poi (1664) anche dal convento francescano di Campolomaso presso Ponte delle Arche, come attestano le cronache dell’archivio conventuale, i frati si recavano per le parrocchie e «cappelle» rendenesi, specialmente, secondo l’originaria tradizione francescana ripresa poi dalla riforma cappuccina, per la predicazione 24.

Altre testimonianze del culto di San Benardino, in questa epoca e nel Trentino, sono documentate iconograficamente anche al di fuori dell’ambiente francescano. A Chiarano d’Arco, nella parete sud della chiesetta di Sant’Antonio abate, un suo dipinto è datato «addì 28 de mazo 1481». A Cologna di Tenno, nella parete sud della parrocchiale, l’affresco è opera degli stessi Baschenis di Carisolo e di Pinzolo. Ne indichiamo interessanti particolari: a Cologna, compare il medesimo globo rosso, sopra la destra benedicente (a tre dita, invece che a due, di Carisolo e di Pinzolo), quale è a Carisolo (tuttavia, a Carisolo la destra è alzata molto in alto, e il globo a forma di «ciambella», tra lo sfondo azzurro e il riquadro verde). A Pinzolo, diversamente che a Carisolo ma come più comunemente (all’epoca, Trento, Pavillo, Chiarano, Moena, e poi universalmente nei tempi successivi), è presente il monogramma cristologico, detto crisma; a Pinzolo, alla destra della figura e sopra il libro aperto. Quanto al libro, se esso è una costante iconografica bernardiniana, precisiamo che solo quelli della famiglia Baschenis, oltre il San Bernardino della chiesa omonima di Trento, del ‘400-’500 (recentemente restaurato ed ora nel coro), sono in posizione frontale, tenuti dalla mano sinistra e poggianti (salvo quello di Pinzolo) sul petto, con la visibile scritta: «Pater manifestavi nomen tuum hominibus» (Cologna, Pinzolo, Carisolo; l’affresco di Pavillo è coperto dall’intonaco proprio in quella parte). L’affresco di Cologna, riscoperto nel 1964, è dunque un termine di confronto interessante rispetto a quello di Carisolo, il cui «San Bernardino» resta comunque la raffigurazione del Santo tuttora meglio conservata.

In Val di Non, sulla parete nord della chiesa di San Paolo Apostolo nella citata Pavillo, il Santo, affrescato sicuramente da Giovanni e/o Battista Baschenis, è datato 1474; è stato riportato alla luce nel 1972-1973. Ma «forse la più antica immagine che si veneri nel Trentino», del Santo medesimo, a Moena, nella chiesetta di San Wolfango, consacrata nel 1432. Con il libro (ma chiuso) sulla mano destra, con un monogramma, sulla sinistra, di notevole proporzione, il Santo porta i baffi, un ampio mantello e i calzari (a Pavillo, egli porta i sandali), opera di un «pittore trentino girovago».

Queste fugaci riflessioni bastano a giustificare il ricordo del «santo della pietra» in questa valle rendenese, e a dimostrare l’apporto dei suoi frati fra questi stessi monti, in cui la loro presenza è tuttora confermata dalla «casa» francescana di Mavignola. [Francesco di Ciaccia]

1  Angelo Clareno, Cronaca delle sette tribolazioni, II, 12, in Fonti Francescane (sigla FF), tr. Feliciano Olgiati, Assisi 1978, p. 1782: «una celletta ricavata dalla fessura di una roccia».

2  I Fioretti di San Francesco, «Della seconda considerazione delle sacre sante Istimate», in FF, rev. P.B. Bughetti, p. 1590: «dianzi v’era una apritura di sasso molto orribile e pauroso».

3  Cfr. ad es. Bonaventura, Leggenda maggiore, V, 1, in FF, tr. Simpliciano Olgiati, p. 872.

4  Cfr. l’episodio in Tommaso da Celano, Vita seconda, 59; Leggenda perugina, 13; Specchio di perfezione, I, 9.

5  Tommaso da Celano, op. cit., 60, che segue al commento di San Francesco a Matteo 4, 1-2, e che richiama alla prescrizione della Regola (cfr. Regola non bollata, 9 e Regola bollata, 6).

6  Giuseppe Faggin, Spiritualità medievale e moderna. Francesco d’Assisi. Maestro Eckhart. Il misticismo oggi, Vicenza 1978, p. 23.

7  Cfr. Bonaventura; op. cit., IV, 11, che letterariamente ripropone il simbolismo dell’ascesa e della «discesa» di Mosè dal monte Sinai.

8  Cfr. Bonaventura, op. cit., XI, 9.

9  «Della seconda considerazione»… cit., in FF, pp. 1590-1591.

10  «Della terza considerazione delle sacre sante Istimate», in FF, p. 1596.

11  Come abbiamo già scritto in un art. sulla «festa in Francesco d’Assisi», pubblicando in «Communio» nel 1982, e come del resto è rilevabile nel rapporto di Francesco con le creature «belle».

12  Tommaso da Celano, op. cit., p. 165, in FF, p. 685; stessa referenza per la cit. successiva. Cfr. anche Leggenda perugina, 51 e Specchio di perfezione, 118.

13  Ad es., il vento è ciò «per lo quale a le tue creature dai sustentamento»; così, l’acqua è «laudata» perché, innanzitutto, è «molto utile», e la terra perché «ne sustenta e governa», ecc.

14  Per il testo, cfr. FF, tr. Francesco Mattesini, pp. 176-177.

15  Paradiso, XI, 106.

16  Nel VII centenario della Nascita di Francesco d’Assisi, in Tommaso Nediani, La Fiorita Francescana, Bergamo, s.d., in realtà 1926, p. 70.

17  Assisi, in T. Nediani, op. cit., p. 225.

18  Alla montagna di Cortona, v. 1, in T. Nediani, op. cit., p. 231.

19  G. Faggin, op. cit., p. 11.

20  Callisto Urbanelli, Storia dei Cappuccini delle Marche, I, Ancona 1978, p. 257.

21  Cfr. Carisolo. Chiesa S. Stefano, a cura di don Grazioso Bonenti, Pinzolo, s.d., note alle foto 3 e 4 di Danilo Povinelli.

22  Per mano, forse, dello zio di Simone Baschenis il giovane Angelo. Cfr. P. Eliseo Onorati, San Bernardino da Siena nel VI centenario della nascita (1380-1980), Trento 1980, p. 57.

23  Detto di «San Bernardino vecchio», poiché perduto, per cause naturali, alla fine del ‘600, e sostituito, nelle vicinanze, con l’attuale «San Bernardino nuovo». Ringrazio i Frati Minori di Trento, fra cui il padre Remo Stenico, studioso e bibliotecario, per il materiale bibliografico gentilmente offertomi.

24  Cfr. P. Eliseo Onorati, op. cit., p. 56. Ci serviamo, per tutte le notizie del genere, di questo libro. Cfr. anche P. Orazio Dell’Antonio, I Frati Minori nel Trentino, Trento 1947; per la zona rendenese, cfr. I Frati di Campolomaso nel terzo centenario della fondazione del convento 1664-1964, Trento 1964.

Nella chiesa cimiteriale di Santo Stefano 15 agosto 1982

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