1993, Tandem, Due donne per Francesco

Due donne per Francesco, «Tandem», 1 (1993) pp. 52-54.

Testo dell’Articolo

Prima Jacopa, poi Chiara: queste, in ordine di preferenza, le due figure femminili che seppero accompagnare con tenerezza e discrezione il cammino di Francesco d’Assisi.  L’una era nobile, giovane vedova romana della famiglia dei Settesoli; l’altra, come madre badessa, fu capace di difendere ad oltranza l’ideale di povertà francescana.

Lui non mancò di un pizzico di egoismo. Mentre dalla sua clausura in San Damiano, Chiara invocava piangendo di rivederlo un’ultima volta, il fraticello, ormai moribondo, faceva aprire le porte del suo convento alla signora di Roma: voleva riassaggiarne a tutti i costi gli insuperabili, dolcissimi, «mosticcioli».

Jacopa: ricca e famosa

Per Francesco d’Assisi, madonna Jacopa dei Settesoli, giovane e nobile vedova romana, doveva avere libero accesso al suo convento perché – come riporta Celano nel Trattato dei miracoli – per fratello Jacopa non c’è da osservare il decreto relativo alle donne. Il Santo ha ormai pochi giorni di vita. Anche Chiara è gravemente inferma e teme di spegnersi prima di lui. «Affranta, piangeva e non riusciva a darsi pace – recitano la Leggenda perugina e lo Specchio di perfezione – pensando che non avrebbe più visto Francesco». Informato della cosa, Francesco, per confortarla, le manda in scritto la sua benedizione tramite un frate: «Va’ e porta questa lettera a donna Chiara. Le dirai che lasci cadere ogni angoscia e mestizia per il fatto che adesso non può vedermi. Sappia che, prima del suo trapasso, tanto lei che le sue sorelle mi vedranno ancora e ne trarranno la più grande consolazione». Lo vedranno. Ma morto. Al funerale: con la più grande consolazione spirituale.

All’ultima ora Francesco è trasportato alla Porziuncola, secondo il suo desiderio. Passa davanti a San Damiano, dove c’è Chiara, ma non chiede di esservi portato. Vi sarà condotto, per esservi esposto a consolazione delle monache, da cadavere. In quei giorni, alla Porziuncola, Francesco vuole il fratello. Costei – «il fratello»! – arriva da Roma. I frati non sanno che fare: la facciamo entrare, o non la facciamo entrare? «Padre, che facciamo? Dobbiamo lasciarla entrare e accostarsi a te?» In effetti, per volontà di Francesco era stato stabilito, e ciò fin dai primi tempi, che in quel convento «nessuna donna potesse entrare in clausura» (Leggenda perugina). Delicatamente, ma con decisione, il Santo taglia corto, ma certo! «Il divieto non è applicabile a questa signora, che una tale fede e devozione ha fatto accorrere da così lontano» (Leggenda perugina). Jacopa entra. A veder Francesco piange a dirotto. Ma chi ce l’ha chiamata, quella lì? Lui stesso. Gli agiografi antichi, pur registrando qualche notizia su questa «amica» di Francesco – il più delle volte la denominano solo così, senza le pretestuose maschere di «divota», «fedele», «ammiratrice» – non indulgono nel segnalare la dimensione spontanea dell’amicizia tra loro.

Un segreto per star meglio

Qualcuno, oggi, che conosce Francesco dai simulacri o dai quadri che sono in giro in quasi tutte le chiese per la devozione pietosa, forse non ci crederà: ma è narrato dalle fonti antiche, non da un regista moderno. Francesco, al vedere l’amica, mezzo morto com’è, riprende un po’ tono, sembra star meglio, forse si rimette. Magari guarirà?! «La moltitudine attendeva ormai prossima (la morte del Santo). Ma alla venuta della pellegrina romana il Santo si era un poco ripreso e si pensava allora che sarebbe vissuto ancora» (Celano, Trattato dei miracoli). Incredibile ma vero: è bastata lei? Tanto che anche Jacopa pensa di mandar via la gente che l’ha accompagnata da Roma ad Assisi: «Perciò quella signora pensò di licenziare il resto della comitiva, per rimanere lei sola con i figli e pochi scudieri. Ma il Santo le disse: Non farlo, poiché io partirò (cioè «morirò») sabato e tu te ne andrai la domenica con tutti». (Celano, Trattato dei miracoli).

Francesco sta per morire: povero di presunzione architettata dagli asceti, povero di alterigia inventata dai censori, povero di prosopopea aureolata dei potenti, sacri e profani. Povero di spirito. Libero di cuore! Frate Elia, il superiore dei frati e anche di Francesco, gli fa delle buone raccomandazioni. Sante ispirazioni: prima di tutto, pensare all’anima. Che il morituro preghi di più, soprattutto pianga dei peccati, insomma si «contristi»: e dia il buon esempio ai mortali con un po’ di piagnistei pii. Siccome, invece, egli canta, allora frate Elia si congratula con lui per la gioia manifestata in tanta pena corporale, però,… però…: «siccome (gli altri)sono convinti che () tra poco hai da morire, sentendo risuonare queste Laudi potrebbero pensare o dire fra sé: “(…) Farebbe meglio a pensare alla morte!”» (Leggenda perugina). La lunga e bellissima risposta di Francesco è, come al solito, delicatissima; ma sottilmente significa questo: che all’animaccia sua ci pensa lui, e non gli altri! E «In un impeto di fervore» riprende subito a cantare come gli pare e come gli piace. (E a sera, già morto, le allodole gli daranno ragione. Cantano anche loro! Contro la loro consuetudine serotina!). Cantare, e mangiare. Mangiare i «mosticcioli». Per averli da lei, da Jacopa, le fa affrontare il non semplice viaggio da Roma ad Assisi.

Io muoio: vieni…

Chiede carta, penna e calamaio e dice a un frate – stando a Fioretti, ma anche agli Actus – «iscrivi com’io ti dico: “A madonna Jacopa (…) frate Francesco, poverello di Cristo, salute e compagnia dello Spirito Santo (…)”». Ecco la lettera (dalla traduzione di Francesco Mattesini): «Sappi, carissima, che Iddio, per sua grazia, mi rivelò che la fine della mia vita è ormai prossima. Perciò se vuoi trovarmi vivo, vista questa lettera, affrettati a venire a Santa Maria degli Angeli. Se non verrai prima di sabato non mi potrai trovare vivo. E porta con te un panno oscuro in cui tu possa avvolgere il mio corpo, e i ceri per la sepoltura. Ti prego anche di portarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma». Egli sapeva il giorno in cui sarebbe morto. E Jacopa? Forse, neppure che stava così male. Però ha una ispirazione, come la definisce parlandone ai frati: «Mentre stavo pregando, mi fu detto in spirito: Va’ e visita il tuo padre Francesco. Affrettati, non indugiare, poiché se tu tardi non lo troverai vivo. Gli porterai quel tale panno per la tonaca, e il necessario per preparargli un dolce. Prendi anche gran quantità di cera per fare dei lumi e altresì dell’incenso». L’incenso era l’unica cosa non indicata nel messaggio.

Fatto sta che, mentre si consegna la lettera a un messo molto veloce – precisa il Celano, Trattato dei miracoli – che la rechi a Roma, un frate, quello che sta dando istruzioni al messo, si avvicina alla porta e si trova alla presenza di lei: «stupito», si avvicina in fretta al moribondo e, pieno di gioia: «Padre, ti annunzio una buona novella». Francesco prevenendolo: «Benedetto Dio, che ha condotto a noi donna Giacomo, fratello nostro!». Pieno di gioia anche lui! L’ha percepito: è lei! – lei, che è già venuta! Le fonti agiografiche parlano di «miracolo» che s’aggiunge «a novo miracolo»: «(…) perché nulla mancasse al miracolo, si scopre che la santa donna aveva portato tutto (…); insomma tutto ciò che l’anima di questo uomo aveva richiesto, Dio l’aveva suggerito a lei» (Celano, Trattato dei miracoli). Miracolo o no, certo è che c’è telepatia. Bella e buona premozione telepatica.

Dopo l’incontro, Jacopa prepara «il dolce che piaceva a Francesco» (Leggenda perugina). E non è che Francesco non ne mangi: può solo, però, «assaggiarne appena, poiché per la gravissima malattia le sue forze venivano meno inesorabilmente, e si appressava alla morte». Poi Jacopa, tutt’altro che esautorata dai frati, sembra un po’ l’organizzatrice delle esequie: «Fece fare anche numerose candele, che ardessero dopo il trapasso intorno alla salma venerata. Con il panno che aveva recato, i frati confezionarono la tonaca con cui il Santo venne sepolto» (Leggenda perugina).

I frati sono consci del ruolo di Jacopa nella vita affettiva di Francesco. Anche frate Elia le dà atto: tutta madida di lacrime, egli la trae in disparte, di nascosto l’accompagna presso la salma e «ponendole tra le braccia il corpo dell’amico, (…) esclama: “Ecco, stringi da morto colui che hai amato da vivo!” (…) E così, d’un tratto, (ella) piena di insolita letizia, si rianima tutta alla vista dell’amico morto» (Celano, Trattato dei miracoli). Non poteva sfuggire agli antichi biografi che, per Jacopa, Francesco aveva avuto un «particolare affetto»(Celano, Trattato dei miracoli).

«Che aveva tanto amato»

Stando alle fonti antiche, proprio così disse Francesco: «(…) chiese che fosse avvertita a Roma donna Giacomo, perché se voleva vedere colui che già aveva tanto amato come esule in terra e che ora era prossimo al ritorno verso la patria, si affrettasse a venire» (Celano, Trattato dei miracoli). Amore scambievole: amicizia profonda, sentita, certamente senza sdolcinature ma senza nemmeno false e falsate storpiature pietose. Per quanto le fonti ben presentino l’alta figura morale di lei e ricordino come la sua venerazione fosse – e ciò è evidente – come a «padre », a «maestro» di spiritualità, tuttavia nessuna fonte tramanda mai che Francesco e Jacopa s’incontravano per fare le pie devozioni. O per piagnucolare sui peccati propri ed altrui. E che facevano, allora? Le devozioni, certo, si possono sempre presumere: non ci sarebbe niente di male, del resto. Ma oltre alle ipotetiche devozioni Francesco s’incontrava con lei, a Roma, perché stava bene in sua compagnia; era affiatato, con lei. La tramandano bella, di certo era una giovanissima vedova, di una delle più nobili e ricche famiglie – dei Settesoli o Sette Soli (nel senso di «Sogli») –. Ma non è questo, che conta: ciò che conta è avere una intima comunicazione di spirito, provare affetto, sentirsi veramente bene, come dire…, contenti, con la persona «amata». Non è poco. Quante ce n’erano, all’epoca, di così profonde simpatie, sincere, emotivamente radicali? E quante, tra quelli che – salvo lui – fingevano di essere santi? Francesco ci andava a mangiare anche i dolcini. Ah, quel digiunatore folle, Francesco! Quattro quaresime l’anno senza mangiare praticamente nulla –160 giorni a digiuno! –. Ma da Jacopa no! Ah, che buoni, quei mostaccioli! Si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo ed è fatto con mandorle, zucchero o miele e altri ingredienti (Leggenda perugina). L’ultimo mio desiderio? Mangiarli un momento prima di morire! Un trasporto istintivo. Tanti piccoli, ma significativi fatti, punteggiano l’amicizia tra i due.

Non consta ad esempio che Chiara abbia mai viste le stimmate del Santo, lui vivente. Jacopa le vide anche in vita (I Fioretti). E se Jacopa le vide, è da ritenere molto difficile che non sia stato proprio lui, Francesco, deliberatamente a fargliele vedere, o perlomeno a non ostacolarla perché le vedesse. Francesco d’Assisi è troppo spazioso, per essere rinchiuso in una sintesi forzata: la sua amicizia con Jacopa dimostra quanto egli avesse capito perfettamente l’affettìvità. La quale è poi alla base di ogni altro vissuto: anche del soffrire. Francesco non sentiva il «dovere», ma il «piacere» di fare: spontaneo, generoso, istintivo, istintivamente «baciò» il lebbroso, una volta che si sentì identificato con l’emarginato sociale; e perché lo sentì meraviglioso, accettò il rosicchiar dei topi intorno alle sue carni: anche qui, con affetto! È questo, ciò che significa affetto del cuore, sensibile, fisico: che non è l’amore volontaristico e mentale. [Francesco Di Ciaccia]

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