Borromeo, Federico, Paralella

Introduzione a Federico Borromeo, Paralella cosmographica de sede et apparitionibus Dæmonum. Liber unus, Milano – Roma, Biblioteca Ambrosiana – Bulzoni (Fonti e Studi 5), 2006, pp. 11-26.

 

Paralella cosmographica. Copertina
In copertina: Brueghel, Jan, il Vecchio, Allegoria del fuoco, olio su rame, 1618, Milano – Pinacoteca Ambrosiana. Inv. 68

Testo della Introduzione

L’argomento del libro

Il presente scritto di Federico Borromeo è diverso da altre sue opere demonologiche.

Il demonio, qui, non è visto, principalmente e formalmente, in quanto angelo decaduto o in quanto tentatore. In altre prospettive demonologiche, come nel De cognitionibus quas habent Dæmones, la problematica delle dotazioni originarie e delle successive inibizioni intellettive coinvolge, già da sola, elucubrazioni speculative sottilissime e richiama disquisizioni dottrinali molto complicate. Più appassionante ma più delicato ancora è il tema demonologico, ad esempio, nel De ecstaticis mulieribus, et illusis, in cui il demonio è colui che, seducente e serpentino, s’introduce nella mente visionaria di uomini e di donne. In Paralella cosmographica de sede et apparitionibus dæmonum il demonio sembra, invece, l’attore che, camaleontico, si veste dei quattro elementi fondamentali del mondo fisico e, in tal sembiante, si fa vedere e si fa udire; o quantomeno si ritiene che in tale foggia si trasformi e appaia.

Il presente scritto si caratterizza, dunque, per un contenuto ed uno stile che potrebbero rientrare, per una parte di esso e in una certa qual misura, nel genere narrativo piuttosto che in quello saggistico, vuoi di teologia dogmatica, vuoi di teologia mistica. Di fatto, la sua più immediata peculiarità è che il materiale della fenomenologia diabolica non deriva dalla teologia, dalla Bibbia, dall’esperienza morale o mistica; proviene dalla percezione sensoriale, dall’esperienza fisica. Nel libro si parla di fenomeni del mondo fisico intorno a un misterioso universo di “incontri ravvicinati”, veri o presunti, degli umani col demonio. L’approccio sensibile, dalle molte forme, tra umani e dèmoni è datato dalle più remote età ed è testimoniato dal mondo classico; ma uno sterminato repertorio lo offriva, ai tempi proprio dell’Autore, il mondo moderno, sia nelle zone rurali della cristiana Europa, sia nell’area colta dell’Africa musulmana; e soprattutto lo imbandivano con dovizia di curiosità esotiche i Paesi tanto lontani quanto ricchi di eventi mai visti e mai sentiti. Sono perciò rievocati resoconti, mirabolanti o raccapriccianti, di naviganti e viaggiatori avventuratisi nell’estremo nord e nell’estremo oriente del pianeta, nei deserti roventi e allucinanti che annebbiano la vista e smorzano il respiro, nelle infide acque dalle tempeste apocalittiche; e sono riferite dicerie che, magari ingigantite, tornavano a circolare, come da tempo immemorabile, su figure orrende intraviste tra il magma infuocato dei vulcani o su voci gementi tra i ghiacci eterni delle terre fredde, visto che – ed è il giudizio dello speculatore – le preferenze dei demoni sono decisamente per tutte le cose “esagerate”.

Da tale contenuto discende la seconda caratteristica, almeno in varie pagine del libro: la scrittura narrativa. Federico Borromeo ama raccontare; e lo stile del suo narrare è piacevole.

Il risvolto rilevante, legato alla prima peculiarità sopra indicata, è l’attenzione riservata alle scienze naturali.

L’interesse di Federico Borromeo per le scienze naturali è stato già messo in luce; ed è il caso di notare come lo studio delle «metereologiche questioni», condotto su Aristotele in un’altra opera, il Salomon (FERRO, 34), trovi conferma in Paralella cosmographica a proposito di presenze animali nei nevai, anche qui con citazione della Historia animalium: «Risulta poi che nelle zone settentrionali si ritrovino vermicelli proprio nella neve […]. Perché non si pensi che sia una panzana, anche Aristotele dice che anche nelle nevi si trovano certe bestioline» (cap. XIII). È ovvio che in Paralella cosmographica si faccia riferimento a scritti naturalistici di Aristotele; ma rilevante è che sia messa in discussione, o almeno sotto esame, una notizia di Aristotele su un dato fattuale: «Aristotele accenna a una fornace nell’isola di Cipro al cui fuoco si liquefacevano i metalli, e dice che tra le fiamme furono viste bestioline saltellare e volteggiare. In questa storia saremmo di certo convinti dall’autorità del filosofo, se in un altro passo [in De longitudine et breuitate vitæ] egli non sostenesse che nessun animale ha origine dal fuoco e che il calore grazie al quale gli animali hanno vigore non è fuoco né discende dal fuoco; e altrove dice anche che il fuoco non può assolutamente putrefarsi» (cap. XI).

Più in generale, va detto che esattamente l’impostazione fenomenologico-fattuale del discorso e il ricorso agli apporti delle scienze sperimentali tutelano l’Autore, in linea generale, dal rischio di atteggiamenti aprioristici e acritici circa i fenomeni prodigiosi e i loro racconti. Fondamentalmente egli è guardingo per motivazioni di ordine psicologico e di costume: fantastica è l’immaginazione umana; e grandiosa è l’enfatizzazione delle notizie che passano di bocca in bocca e di luogo in luogo. Soprattutto, è facile che vengano intesi come prodotto di entità angeliche i fenomeni dell’universo fisico che risultino strani in base alle attuali conoscenze. La seguente osservazione sintetizza alcuni aspetti della dinamica “miracolistica”: «Infatti, anche solo a vedere un pozzo che sprofonda vertiginosamente, subito si crede che sia opera dei demoni […]. Non appena questa falsa credenza conquista gli animi, poi aumenta sempre, e così si raccontano come veri avvenimenti falsi» (cap. XII). Bisogna dunque essere cauti, nell’ammettere sia la veridicità dei racconti, sia la realtà dei fatti straordinari. Il criterio vale a partire dalle notizie consacrate dalla tradizione e dalla letteratura antica – «Ma quegli spettri che l’antichità credette Dei marini e che noi diremmo demoni, a volte non erano che bestie e mostri del mare. Ne tratta a lungo Plinio nel libro nono» (cap. XII) -, fino ai resoconti confermati dalla fama comune e da persone serie conosciute di persona: «Ma ho intenzione di narrare un altro episodio, e una volta narrato ci chiederemo se sia potuto esser vero un fenomeno cui ormai l’opinione comune dà credito. Lo tramandano non solo la credenza popolare ma anche la testimonianza di uomini seri con cui abbiamo parlato» (cap. XII). Del resto, non è facile stabilire la verità sull’origine dei fenomeni. Ad esempio: «Olao Magno riferisce che i fiumi molto profondi, al Settentrione, abbondano di demoni, e altri scrittori raccontano che nelle selve della Norlandia e della Norvegia gli stagni gelati risuonano di varie voci, che si ritiene essere dei demoni. Ma non sarà facile stabilire se siano realmente dei demoni o siano generate dal ghiaccio, poiché, come riferisce lui stesso, cioè Olao Magno, da lì si sentivano provenire anche fragori naturali» (cap. X). Frequente è l’indicazione del seguente tenore: «Ma sui luoghi cavernosi, se si raccontano per lo più cose inventate, sono state dette tuttavia alcune cose vere» (cap. VIII)[1].

Importante chiave di lettura dei fenomeni fisici e naturali è dunque, in questo contesto, il dettame scientifico; e il richiamo a Plinio, come nella questione sopra citata, è rivelatore del peso assegnato alle ipotesi scientifiche. Persino la medicina è compulsata per la congettura dell’origine di certune manifestazioni paragonabili alla possessione diabolica: «Gran parte dei casi che potrebbero ricondursi all’intervento demoniaco sono infatti rapportabili anche a malattie fisiche. La prova è in queste parole di Ippocrate: esistono morbi di tal genere, “per cui [i malati] ritengono di vedere i demoni che li assalgono, a volte di notte, a volte di giorno”» (cap. XX). L’Autore può procedere con equilibrio e spirito critico, proprio poggiandosi sulle conoscenze naturalistiche cui sono pervenuti gli studiosi. Ad esempio afferma: «Ma è fin troppo chiara la causa naturale che determina quelle fiamme [vulcaniche], per pensare che dimorino in quelle sedi proprio i demoni» (cap. XI). E: «Ma le anomali piogge per cui piovono sostanze ferrose, lapilli e lana si è potuto attribuirle a cause naturali piuttosto che ai demoni, e altrettanto le pestilenze e le contaminazioni dell’aria infetta, che tuttavia possono provenire anche dal demonio. In questo campo l’antichità fu notevolmente superstiziosa […]» (cap. XIII).

Le indicazioni qui offerte non inducano, tuttavia, a configurare un Federico Borromeo estraneo alla radicale e profonda convinzione, molto diffusa all’epoca, della puntuale e insistente incombenza del demonio sulla terra e tra gli umani. Esse valgono a distinguere, entro la problematica demoniaca, tra impellenza del demonio nell’animo e nel cuore umani e visibilità satanica in qualche modo materiale nel mondo fisico. Nel primo caso, il procedimento di indagine è deduttivo, con ragionamenti che si configurano, facilmente, apodittici, fondati su principi ritenuti incontrovertibili; nel secondo caso è induttivo: da cui la tendenza investigativo-narrativa, fondata sull’accertamento dei fatti concreti. Ma le indicazioni qui offerte valgono, anche, a mettere in risalto l’attitudine globale di Federico Borromeo circa la questione del demonio – cui il libro, comunque, inevitabilmente si collega, dato che la “professione” del demonio non è quella dell’attore di teatro o del clwon circense, ma, in ogni caso, è quella del “tentatore” -, così sintetizzata già da Franco Buzzi: «In un secolo dominato da una specie di febbre satanica o di effervescenza diabolica, che arrivava a vedere abbondantemente nei fatti più diversi e reciprocamente estranei la presenza malefica del diavolo, l’approccio al fenomeno da parte del cardinal Federico Borromeo è indubbiamente espressione di una mente aperta e curiosa […]. Federico, come sempre, mira a sfatare la mentalità popolare, facilmente succube di credenze superstiziose che a quel tempo erano largamente diffuse, propalate anche dai tentativi di un incipiente sapere naturalistico […]» (BUZZI, 7). Il sapere naturalistico non interviene, in Federico Borromeo, ad allargare i confini dell’intrusione demoniaca, almeno in generale; interviene, per contro, a mettere al vaglio le credenze enfatizzate all’inverosimile.

 

Le redazioni dell’opera

Il testo è redatto in volgare e in latino. Il testo volgare è manoscritto, il testo latino – quello che ci è pervenuto – è stampato. In ogni caso, il titolo è sempre in latino, anche nel manoscritto volgare: Paralella[2] cosmographica de sede et apparitionibus dæmonum, completato da Liber unus nello stampato.

Il manoscritto fa parte di un faldone[3], di cui costituisce il quinto ed ultimo scritto. Il primo dei due fogli iniziali del faldone – il secondo è in bianco, e l’uno e l’altro sono numerati in cifre romane – presenta l’elenco degli scritti contenuti nel faldone: «Trattato sopra il vizio dell’avarizia / Altro trattato sopra il vizio della superbia / Cypria sacra o sia trattato sopra l’onestà e decoro degli ecclesiastici / Del fuggire l’ostentazione / Del luogo, e delle apparitioni dei demoni[4]». Il testo Cypria sacra fu stampato nel 1628, quindi dopo Paralella cosmographica, del 1624; il De fugienda ostentatione nel 1623. All’elenco dei titoli seguono l’enunciazione di paternità degli scritti: «Del Card. Fed.co Borr.o Arciv.o di Milano», e la segnatura: «G 5 Inf. n° 5». La grafia del “frontespizio” e degli scritti non è di Federico Borromeo: del resto, come da consuetudine consolidata nella storia, egli si serviva di scrivani. Essi «lavoravano spesso sotto dettatura, comunque sempre supervisionati, o quantomeno istruiti dal cardinale, anche per mezzo di appunti e note scritte» (CONTINISIO, 36).

Si può ritenere con ragionevole fondatezza che la redazione volgare precede lo stampato latino. Nel manoscritto volgare consta un’esplicita indicazione tipografica, vergata a margine e poi cancellata con barra verticale: «queste parole latine si stampino in caratere ordinario» (fol. 139). Ciò fa presumere che la segnalazione tipografica sia stata eliminata, appunto, a operazione di stampa avvenuta. Constano poi aggiunte e correzioni recepite nello stampato. Propongo alcuni tra i numerosissimi esempi (in cui il testo tra virgolette uncinate equivale a quello aggiunto o modificato, il testo con il carattere barrato equivale a quello cancellato, e il corsivo segnala la grafia federiciana), indipendentemente dalla loro funzione logica e sintattica: «erano <alle volte,>», e lo stampato: «interdum»; «le cose future <contingenti>», e lo stampato: «et contingentes»; «fiorirono <in Italia>», e lo stampato: «Italia habuit»; «<piu che in altri paesi>», e lo stampato: «quam alibi»; «di quelle altre parti del Mondo <Provincie, e Regioni>», e lo stampato: «Nunc de Prouincijs, Regionibusque»; «<overo con altri Popolo[=i] di maggior senno>», e lo stampato: «siue aduersus gentem aliam prompto ingenio»; «<ed assai più frequentemente che hora,>», e lo stampato: «frequentius […] quam hodie»; «<ma però non affatto>», e lo stampato: «non quidem omnino, sed magna ex parte»; «il nome di Demonio <Satan> significa», e lo stampato: «Satanæ nomine»; «opinioni <fantasie>», e lo stampato: «Vanitatique». E constano eliminazioni o spostamenti di brani: «et il pastore Attes Briare[u]s» – in cui il pastore Attes esula dal discorso – non compare nello stampato; il brano «E Platone istesso <racconta> si querela che il suo genio sempre lo dissuadeva da qualunque cosa, e cosi egli dice nel Theage.», eliminato dal capitolo 2 e inserito nel capitolo 14, nello stampato appare soltanto nel capitolo XIV. Anzi, constano diverse indicazioni di spostamento di brani: indicazioni recepite nello stampato nella modalità indicata nel manoscritto.

L’interrogativo che si pone, invece, è se la redazione volgare manoscritta – quella che oggi consta – sia stata vergata sotto dettatura del cardinale o sia stata copiata da una stesura precedente. Un dato di fatto persuade a ritenere che sia stata redatta per copiatura: le correzioni di aplografie. Ad esempio: «si in piu libri, si»; «qui addotte a quelle che si sono qui addotte»; «gran oltre a ciò, gran gloria»; «<presso ai Gentili,>, che pres non è poi stata presso ai Christiani»; «tuttavia manca et è mancata gia per tanti secoli, e tuttavia manca».

La redazione manoscritta, ivi comprese le correzioni e le aggiunte a margine, consta compiuta da più mani. In alcune correzioni e aggiunte a margine – una quarantina – è certa la mano di Federico Borromeo. L’individuazione della mano federiciana è dovuta a Roberta Ferro. L’intervento di Federico Borromeo rivela una particolarità nei segni diacritici: gli avverbi “così” e “più” sono accentati. Il suo apporto chirografo è di natura principalmente sintattica o grammaticale – a volte, senza che possa trovar riscontro nella lingua latina -; secondariamente, lessicale; in alcuni casi, concettuale. Qualche esempio: «gl’antichi dissero che alcune apparitioni <le> haveano havute dai Dei»; «I quali occhi deboli sono cagione, che havendo <essi> corta vista, godono degl’oggetti»; «Gl’aiuti delle stelle a loro <Demoni>». Interessante è la circostanza in cui egli opera un’aggiunta di valutazione che lo interessa di persona. Il manoscritto volgare: «è generale, et comune opinione di tutti, <e quelle visioni, e quei raccontamenti io gli hò per veri>»; lo stampato: «neque ego, sicuti dixi, communi ei famæ, constantique opinioni fidem abrogauerim».

La redazione manoscritta in latino non ci è pervenuta. Allo stato attuale constano gli stampati in latino. Gli stampati del testo latino risultano in duplice copia. Si presume trattarsi di diversi stati della medesima tiratura[5].

Merita di essere segnalata una certa differenziazione tra il testo volgare e il testo latino. Non mi riferisco al registro linguistico e allo stile – colloquiale e immediato l’uno, letterario e mediato l’altro -, ma a differenze di contenuto.

La più semplice è quella dovuta alla sinteticità di dati e alla riduzione dei sinonimi. Ad esempio, nel testo volgare sono indicati due regni della Mauritania, «nel Regno di Fez, e di Marocco» (cap. XVIII); nel testo latino, i «Mauritana Regna». Circa i Fauni che infastidiscono la gente, nel testo volgare sono usati quattro verbi, di cui uno aggiunto dal cardinale: «inquietando, molestando, e spaventando <e tormentando>»; nel testo latino, due: «terrendo, et inquietando» (cap. VII); o, a proposito di animaletti che furono visti in mezzo al fuoco, il testo volgare ha un’aggiunta di mano federiciana: «salendo, et discendendo <e caminando>», non recepita nello stampato (cap. IX). Meno comprensibile è il caso di osservazioni avanzate nel testo volgare, magari con aggiunte del cardinale, non recepite nel testo latino. Ad esempio, il testo volgare denuncia l’infondatezza delle credenze circa le voci provenienti dai ghiacciai, «le quali io sò che gl’imprudenti, et incauti diranno, <ed dicono al presente>, esser quelle dei tormentati», mentre il testo latino elude totalmente il rilievo (cap. X).

Più interessanti sono le differenziazioni di valutazione: in genere, nel testo latino i giudizi sono meno sbilanciati e alcune aggettivazioni pesanti sono eluse. Ad esempio, circa i monasteri femminili, infestati dal demonio, i quali, con ciò stesso, dimostrano maggiore virtù, il testo volgare dice che siffatti «religiosi instituti sono laudevoli, et […] da seguitarsi» (cap. VII), mentre il testo latino elude l’osservazione con connotazione esortativa – «et che sono da seguitarsi». A proposito degli eretici, il testo volgare li qualifica perfidi – «gl’Heretici perfidi havrebbono» (cap. 20) -, mentre il testo latino cassa l’attributo sulla perfidia – che tuttavia è mantenuto se riferito all’eresia stessa: «perverse sette heretiche», ed «hæretica prauitate» (cap. III). Poi risulta qualche diversità circa gli autori menzionati: nel testo latino, alcuni autori indicati nel manoscritto volgare sono stati tralasciati, mentre altri, che non comparivano nel manoscritto volgare, sono stati inseriti ex novo. (E le ragioni di tale operazione andrebbero indagate a parte). Ma mi piace terminare con una cancellazione sintomatica d’altro genere. Il manoscritto volgare, parlando del luogo dei ritrovi stregoneschi, ne rammenta la denominazione popolare: barlot – termine, del resto, che sussiste ancora oggi, nel leggendario stregonesco della prealpina Val d’Intelvi. Nello stampato latino, la parola dialettale non rientra nel corpo del testo: è stata posta a margine, come titolatura del brano in oggetto – «Vulgo D<B>arlot» -; ma, come si vede, prima di essere barrata è stata corretta, perché scritta male – verosimilmente, ignota agli stessi copisti. Ciò offre la prova di come il testo volgare sia stato scritto nel momento dell’ideazione originaria, più spontanea e immediata, prima di essere riformulato per la stampa, cioè modificato in vista di un pubblico più vasto.

 

Cosmografa: gli appunti preparatori

Gli appunti preparatori di Paralella Cosmographica sono contenuti in un blocchetto di nove foglietti, inclusi in un foglio piegato che funge da copertina. Sulla “copertina” è indicata la data, «1615», seguita dall’attestazione: «Pararela (sic) Cosmografa di S. E. / De sede, et apparitionibus dæmonum». Al folio 1, il titolo: «Paralella Cosmographica <de sede et> apparitionibus Dæmonum». Il blocchetto misura mm. 14,7 x 10 ed è catalogato R. 180 Inf. n. 15. Indicherò i presenti appunti preparatori come Cosmografa.

Quanto alla stesura degli appunti, essi possono ritenersi di mano federiciana, anche se la grafia è mutevole. Assumo questa conclusione – peraltro confortata dall’attestazione di cui in copertina – sulla base del parere espresso da Roberta Ferro.

Gli appunti preparatori sono numerati: da 1 a 93. Il loro ordine di successione è indipendente da quello dello sviluppo dell’opera: in genere sono stati redatti secondo l’ordine di accesso alle fonti postillate, costituite o da opere di autori o da altri faldoni di appunti tematici – gli «Argumenta», il «Codex Naturalium», gli «Excerpta». Ad esempio, dal numero 25 al 34 le postille riguardano l’opera di Anania; dal 42 al 48, di Olao Magno, ecc.; dal 71 al 78 gli «Argumenta», dal 79 all’83 il «Codex Naturalium», dal 90 al 93 gli «Excerpta». Il raggruppamento non è, quindi, necessariamente tematico. Ad esempio, se i numeri 71, 72, 73 sono legati dal tema degli elementi empedoclei – «Degl’animali che vivono nel fuoco»; «Il caso di Marco di Sarre […] in terra»; «Il caso di Bartolomeo Caregno in mare» -, i successivi 75, 76, 77, 78, tratti anch’essi dagli «Argumenta», non hanno legame tematico: «De animalibus per aera volantibus»; «Matutina hora apud gentiles sacra»; «Ophineus resistit Ioui, et pugnat facta rebellione»; «Ad astrorum puncta cur obediant Demones». Poche le evenienze in cui un tema faccia riferimento, nella medesima postilla, a differenti fonti, quale: «Il caso di Bartolomeo Caregno in mare. Vide 2 Argumentorum no. 133 et in eodem no. cap. 23. Vide primum excerptorum fol. 7» (Cosmografa, 73).

Uno stesso tema dell’opera può ricorrere più volte in appunti che, tratti da differenti fonti, sono eventualmente a distanza tra loro. D’altra parte, il contenuto di un appunto può essere complesso e concernere diversi contesti dell’opera. Ad esempio: «Perche in Settentrione sono piu le apparitioni <e i balli> che nel mezzo di, e nel mezzo di piu gl’incanti. Streghe dove più. Nec mirum, divisa opera, ex Codice Galico» (Cosmografa, 53), contiene il tema delle streghe aggiunto a quello delle apparizioni demoniache e dei balli stregoneschi; nella stesura dell’opera, la considerazione geografica sulla frequenza delle apparizioni demoniache rispetto agli incantesimi si colloca all’interno delle caratterizzazioni delle varie parti del mondo, mentre quella sulle streghe si colloca nel capitolo sui luoghi infestati dai demoni – in cui è inserito il fenomeno dei balli stregoneschi.

Per contro, non tutti gli appunti o segmenti di appunti sono stati usati per la stesura di Paralella Cosmographica. Ad esempio, non vi compaiono i dati geografici sulla frequenza degli energumeni: «In alcuni luoghi sono pochi energumeni. Spagna. Francia più in Italia» (Cosmografa, 35), o le indicazioni di cui in Cosmografa, 82: «Del timore che hanno i Demoni delle cose naturali», e in Cosmografa, 86: «Omnia quæ ex terra proveniunt terræ naturam sequuntur». Il caso più significativo riguarda l’Anticristo: la stesura dell’opera vi dedica un solo capitolo, mentre i Cosmografa abbondano di postille – dal numero 2 al 23 -, più che per ogni altro tema per quanto diffusamente trattato.

Alcuni appunti, poi, sono stati usati anche per altri testi, in particolare per il De cognitionibus quas habent Dæmones – coevo, come stampato, a Paralella Cosmographica -, e il De ecstaticis mulieribus et illusis, stampato nel 1616, l’anno successivo rispetto alla data anteposta a Cosmografa. È ovvio che alcuni concetti o temi ricorrino identici in opere tematicamente affini. La postilla di Cosmografa, 25: «Delle solitudini, e dei luoghi fetidi […]. Vedi se altrove l’ho detto. De fodinis, et Dæmonijs in ipsis. Ananias fol. 190 post medium et 191», è sfruttata anche nel De cognitionibus – «i demoni sono parsi avere più potere nei luoghi solitari, che in quelli frequentati e celebri» (cap. XXIV), «Gli spiriti maligni non solo amano ogni cosa più sporca e brutta», sempre con menzione di Lorenzo Anania (cap. XXV) -, e nel De ecstaticis: «antepongono i luoghi solitari a quelli frequentati», «si portano nelle case sporche e puzzolenti, lasciando stare le dimore pulite e nitide» (cap. XXII). Per di più, un’altra idea – «Cur Dæmones in septentrione» (Cosmografa, 80) – è ricorrente, nella demonologia dell’Autore, e compare anche nel De ecstaticis: «Essi scelgono per mostrarsi le regioni settentrionali, in cui dimorano più volentieri che altrove» (cap. XXII). Ma qualche postilla rimanda esclusivamente ad altra opera. Ad esempio, Cosmografa, 56, spiegando come il demonio appaia «forse mai in forma di luce, o di bellezza», osserva: «La ragione di questo l’apparir frà le altre in forma di luce è inganno più sottile, che esso riserva ai più acorti Europei». Questa piega diabolica compare non in Paralella Cosmographica, ma nel De ecstaticis: ivi si narra come i demoni assumano in un primo momento l’aspetto di bei giovanetti, per meglio ingannare una bella giovinetta, appunto in terra europea (cap. XXI); anzi, a volte assumono persino il volto di Cristo, per meglio ingannare ragazze molto devote e pie (cap. XIX) – anche se nel medesimo libro è garantito, come in altri appunti di Cosmografa e in Paralella Cosmographica, che i demoni amano apparire come bestie e comunque con volto deforme (cap. XXII). L’appunto di Cosmografa, 6: «Aliqui actus reflexi ad bonum nescio an possint reperiri in Demone», vale solo per il De cognitionibus: «A Lucifero e ai suoi seguaci era stata concessa questa dilazione per pentirsi: […] nell’attesa che magari si sarebbe voluto ravvedere. Non è affatto credibile. […] una volta infatti che Lucifero peccò, non poteva più pentirsi» (cap. XIX).

Questi rilievi valgano semplicemente a suffragare la considerazione, più generale, secondo cui gli appunti di Cosmografa, redatti, di certo, in vista di Paralella Cosmographica sul tema “cosmologico” dei demoni, non solo non costituiscono il canovaccio dell’opera, ma neppure si concludono in essa.

Sostanzialmente gli appunti sono contenutistici. A parte il caso di semplice referenza – «Vide primun Argumentorum no.184» (Cosmografa, 41) -, a volte annotano solo il tema tratto dalla fonte: «De purgatorio Sancti Patritij <celebre maxime>. Lusitanus fol 19 no. 54 et 55», «De fodinis, et Dæmonijs in ipsis. Ananias fol. 190 post medium et 191», «Aquilonis denominatio in Dæmone. Ananias fol. 38», «Demones in aere fol. 38 Ananiæ», «De potestate Demonun in elementis fol. 163», «De Mundi regionibus. Ananias fol. 38», «De Austro, et Aquilone vide primum excerptorum fol. 332 verbo Demones», «Fauni apparent etiam Olaus Magnus lib. 3 cap. 12», «Vide Hippocratem de aere, locis, et aquis», «De conditionibus Europæ et Asiæ. Vide Compendium Hippocratis versus finem» (Cosmografa, 24, 25, 26, 29, 30, 31, 37, 43, 55, 84).

In genere, com’è naturale, gli appunti sono sintesi di tematiche tratte dalle fonti, confortate magari da osservazioni personali quali spunti da sviluppare: «De Antichristo vero probabo inverisimilitudines quas tamen colligit in fine operis multo divotas auctor fol. 861, 2 loco astutiam Diaboli demonstrabo in hac prophetia, et causas narrationis», «Dubius sum cum Sorbonicis quod facesset negotium» ecc., «Sto cum Sorbonicis, et dubitatio est quod ex iactantia» ecc. (Cosmografa, 5, 13, 21). Ma in qualche circostanza sono anche metodologici: «Considerentur etiam Paralella in antiquis et primis seculis, et non solum nostris temporibus»; «<Modus tractandi> Circa singula Paralella considerando non solum rationes pure naturales ex parte Dæmonum, sed morales, phisicas rationes plagæ, rationes historiæ rerum perditarum, Astrologicis influxibus conditione negotiorum, temperamenti»; «Visioni dei Demoni in una nave. Quinterno dei viaggi no. 50 et 51. Senza render ragione si può osservare ancora senza dir altro»; «{Non solum ab effectu ad causas: sed etiam a causis ad effectum}» (Cosmografa, 33, 40, 87, 58).

Si nota inoltre la cura del compilatore per rammenatre o verificare se l’argomento sia stato scritto o postillato altrove, o da lui stesso o da altri: «Vedi se altrove l’ho detto», «Vedi se altri hanno trattato di questi animaletti», «Vide an alibi dixerim», «Egi de homunculis alibi» (Cosmografa, 25, 39, 78, 79).

I Cosmografa, redatti in gran parte in latino, sono tratti in genere da opere latine; e a volte lo stampato latino recupera, ovviamente, lessemi e sintagmi dei Cosmografa. Del resto, per certe immagini e idee la lingua latina era più consona e spontanea. La circostanza è esemplificabile con il «demonio meridiano», se non altro perché tale sintagma si leggeva nel libro dei Salmi che all’epoca era esclusivamente in latino; per cui, in Cosmografa, 74: «A Dæmonio meridiano».

Gli appunti risultano redatti in volgare, quando discendono da opere scritte in volgare. È il caso relativo a Nicolò de Conti: «Nei deserti dell’Arabia Petrea comparono i Demoni vicino alle tende delle Caravane, et non offendono, e sono soliti d’andare cosi in squadra per quei deserti. Perche questo. Dal viaggio di Nicolò de Conti in principio»; è il caso relativo a Marcantonio Pigafetta: «I Demoni sono pelosi, et hanno i corni, e comparono nella morte. Dal viaggio di Marcantonio Pigafetta nel tomo primo dei viaggi dell’Indie fol 354 C»; «Perche gl’antichi non ebbero cosi pronti i servitij dei Demoni, come hanno i settentrionali, et <alcune parti dell’> l’Indie orientali, si come dice il Pigafetta fol. 368 f. nel Tomo primo del viaggio dell’Indie»; è il caso – è una mia ipotesi – relativo al volume periodico dei gesuiti, Auuisi del Giapone con alcuni altri della Cina, Roma, per Francesco Zanetti, 1586: «Le statue degl’Idoli nelle parti orientali non parlano, si come facevano quelle degl’antichi. Cosi si legge dell’Isole del Giapan, e del Regno di Calicut»; «Nel Giapone alcuni di quei popoli in certi giorni delle loro penitenze vanno per luoghi solitari e boschi, e vedono mostri, e fantasie, et illusioni diaboliche, et sono a guisa di penitenti». Sembra curioso il caso della citazione di un autore, Olao Magno. Nella prima postilla (Cosmografa, 42), la redazione è in volgare; in seguito, in latino: vale la pena di segnalare che esistevano due edizioni dell’opera di Olao Magno, una in volgare e una in latino (cfr. MAGNO, in «Indice e Siglario bibliografici»). Gli appunti sono in volgare, anche quando l’Autore svolge rilievi personali: «Vedi se altrove l’ho detto»; «Io dirò che è probabil cosa, che quegl’animaletti che vide Aristotele nel fuoco, non sapendo che cosa si fossero, ne essendosi piu veduti, che fossero Demoni, e che talvolta comparissero» (Cosmografa, 25, 39). L’osservazione personale è invece in latino, se si tratta di un sintagma consacrato dalla tradizione latina di teologia dogmatica e di teologia morale: «Sto cum Sorbonicis» (Cosmografa, 21).

Dal punto di vista linguistico, è inoltre utile rilevare come si ritrovino, anche nella stessa postilla, brani in volgare e in latino. Ad esempio in Cosmografa 25, 53 e 89: «Delle solitudini, e dei luoghi fetidi. Et delle oscurità. Vedi se altrove l’ho detto. De fodinis, et Dæmonijs in ipsis. Ananias fol. 190 post medium et 191»; «Streghe dove più. Nec mirum, divisa opera, ex Codice Galico»; «Gl’antropofagi sono verso tramontana <non tanto in Austro. Minus voraces> et ex Plinij lib. 7 c. 2». Ma più interessante appare il ricorso alla contaminatio, come in Cosmografa, 51: «I genij appena comparunt a Bruto de quo tanta, a Cesare nel fiume». La postilla è tratta dal testo di Pigafetta scritto in volgare, preceduto dal brano in volgare (da me riferito: «Perche gl’antichi non ebbero cosi pronti i servitij dei Demoni, come hanno i settentrionali, et <alcune parti dell’> l’Indie orientali, si come dice il Pigafetta fol. 368 f. nel Tomo primo del viaggio dell’Indie»). Ebbene: nel proseguo è palese come l’uso del volgare intervenga esattamente per il contenuto d’impronta narrativa («I geni appena […] a Bruto, a Cesare nel fiume»), e il latino s’imponga per quei vocaboli e per quei costrutti fraseologici che per consolidato uso letterario rilucevano di intensa connotazione semantica (comparere) e di potente concisione brachiologica (de quo tanta).

Gli appunti preparatori offrono lo spunto per un ulteriore rilevamento. A volte, il manoscritto volgare e lo stampato latino cadono in storpiamenti di nomi (come del resto in altre opere). I Cosmografa mostrano come gli appunti registrino nome e cognome esatti. «B[=V]ilibaldus Strobæus» di Cosmografa, 66, risultano, sempre, errati nel manoscritto volgare e nello stampato latino: «Bilibardo/Bilibardus Stobeo/Stobæus», con l’aggiunta, a margine, della «r» nel cognome[6].

L’importanza degli appunti tocca anche un altro ambito: la panoramica delle letture praticate da Federico Borromeo. Gli appunti preparatori la ampliano e in parte la connotano di valenze culturali suggestive – ma che qui non possiamo configurare. Tra gli autori postillati in Cosmografa ed elusi nella stesura dell’opera – in questa sede non avanzo ipotesi sui possibili motivi – si annoverano Lorenzo Anania, Jean Fernel, il Gallus e il Lusitanus. Dei primi due si sa tutto; per gli altri sussiste un problema identificativo: la cui soluzione non grava, tuttavia, sul presente impegno programmatico.

Anania[7], nella redazione volgare di Paralella cosmographica, è presente, ma aggiunto ed espunto – «<Anani fol. 164>» (p. 131 del manoscritto) -, e non sostituito da altra fonte nella redazione latina; in altra occasione – Cosmografa, 27: «Cur corpore exiguo appareant in fodinis et alibi. Ananias fol. 118 et 117» -, è sostituito dall’autorità di Agricola (cap. IX). Eppure, Anania compare più volte, nel De cognitionibus. «Appartiene al decoro angelico ciò che Lorenzo Anania egregiamente spiega ne La natura dei demoni, libro IV» (cap. XXV); «Il guadagno più alto che si ritiene abbiano fatto i demoni è stato nel coltivare i campi in Norvegia. Ne trattano non solo gli scrittori del Nord, ma anche Lorenzo Anania ne La natura dei demoni, libro IV» (cap. XXXXII). Nei seguenti due casi: «La potenza dei demoni non solo è limitata: è anche circoscritta. […]. Chi vuole approfondire, potrà leggere il libro quarto de La natura dei demoni di Lorenzo Anania» (cap. XXIV), e: «[…] in quei luoghi sotterranei si sono fatti beffe del lavoro umano […]. A volte hanno persino preso a sferzate i minatori e li hanno atterriti con fiamme e altre forme orribili. Ne hanno scritto Giorgio Agricola e Lorenzo Anania» (cap. XXXXII) (brani in mia traduzione), il tema è toccato anche in Paralella cosmographica, in più luoghi e nel cap. IX.

Il Gallus, o auctor Gallicus, cui gli appunti fanno riferimento a proposito della recentissima profezia sull’Anticristo – «Auctor Gallicus submittit se Iudici Ecclesiæ fol. 777, et fol. 778»; «Aliqui scribunt contra vaticinium hoc. Gallus fol. 779 versus finem»; «Antichristus ex Ludovico Gallus fol. 883 versus finem», ecc. (Cosmografa, 11, 12, 13, ecc.) -, forse è Pierre Leloyer[8], che nel De cognitionibus è soprannominato «homo Gallus» e ricordato per la questione circa la conoscenza del futuro da parte dei demoni – «De quo toto genere erudite scripsit Petrus Loyer [=Leloyer] homo Gallus in Libro, cui titulum fecit De Spectris, seu Visionibus, et Apparitionibus» (cap. VIII). Più problematica è l’identificazione del Lusitano, citato in rapporto al Purgatorio di San Patrizio. Potrebbe essere Amato, medico portoghese, noto appunto come Lusitano[9].

Comunque è indicativa, a riconfermare l’attenzione di Federico nei confronti della scienza medica, la menzione di Jean Fernel[10], detto il Galeno moderno: «De Paralellis tum incolarum hominum tum Dæmonum vide opinionem Platonis apud Fernelium de abditis rerum causis fol. 186 lin. 8» (Cosmografa, 38).

Dal punto di vista della genesi dei Paralella cosmographica, i Cosmografa andrebbero anteposti alla redazione volgare. Ma non è sembrato opportuno procedere in questa sede alla pubblicazione integrale e a se stante di questi appunti preparatori in quanto essi, pur riferiti certamente ai Paralella cosmographica, non ne costituiscono l’abbozzo o la trama e non vi si rapportano in modo esclusivo. Si è optato per il loro inserimento in nota. A sua volta, sul piano dello sviluppo cronologico dei Paralella cosmographica, gli appunti preparatori andrebbero posti all’interno della redazione volgare. Ma l’evidenza linguistica tra i Cosmografa e la redazione latina dei Paralella cosmographica persuade ed impone di collocare gli appunti all’interno della redazione latina.

Mi corre l’obbligo, infine, di accennare alla traduzione italiana di Paralella cosmographica. Essa ha cercato di offrire un documento che fosse, per quanto possibile, fedele al testo latino, sia sul piano sintattico che sul piano lessicale, senza essere, tuttavia, strettamente filologico. La versione italiana si pone quindi nel mezzo tra la conformità scientifica al testo latino e la fruibilità divulgativa, senza approdare, tuttavia, alle moderne forme di comunicazione scritta. Quanto alla sua funzionalità, la traduzione svolge anche il compito, mediante l’apparato delle note, di informare su personalità e soggetti che compaiono nell’opera, pur limitandosi ai ragguagli salienti. Le note costituiscono anche il mezzo grazie al quale viene data contezza – benché solamente in alcuni casi più importanti – di discrepanze del testo latino rispetto al manoscritto volgare.

L’«Indice e Siglario bibliografico», poi, svolge esclusivamente una funzione pratica. Fornendo referenze delle opere citate nel volume e individuando edizioni cronologicamente precedenti la stesura dell’opera di Federico Borromeo, intende costituire semplicemente un sussidio per il lettore, e non presume né suppone che le edizioni segnalate siano le stesse usate da Federico Borromeo (pagine 11-26). [Francesco di Ciaccia].

 Siglario bibliografico
(relativo alla Introduzione)

 AMATUS: Amatus Lusitanus, Curationum medicinalium centuriæ septem, [titolo uniforme], Venetiis, apud Vincentium Valgrisium, in officina Erasmiana (altro riferimento: apud Balthesarem Constantinum, sub diui Georgij signo), 1557 (1a ed. completa).

BONOMELLI: Marina Bonomelli, Cartai, tipografi e incisori delle opere di Federico Borromeo. Alcune identità ritrovate, Prefazione di Franco Buzzi, Saggio introduttivo di Massimo Rodella, Roma, Bulzoni, 2004.

BUZZI: Franco Buzzi, Prefazione a Federico Borromeo, Manifestazioni demoniache, Milano, Asefi-Terziaria s.d., in realtà 2001.

CONTINISIO: Federico Borromeo, Semina rerum sive de philosophia christiana, a cura di Chiara Continisio, Prefazione di Franco Buzzi, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana, Bulzoni, [2003].

COSMOGRAFA: Federico Borromeo, Paralella Cosmographica <de sede et> apparitionibus Dæmonum, ms, R. 180 Inf. n. 15, Biblioteca Ambrosiana, Milano.

DIBI: Dizionario biografico degli Italiani, voll. LXV-in corso, Istituto dell’Enciclopedia Treccani, Roma, 1960-in corso.

FERNEL: Jean Fernel, Jo. Fernelii Ambiani Universa medicina, [titolo uniforme], Lutetiae Parisiorum, apud Andream Wechelum, sub Pegaso, in vico Bellouaco, 1567.

FERRO: Roberta Ferro, Gli scritti di Federico Borromeo sul metodo degli studi, tesi di laurea, relatore Claudio Scarpati, Università Cattolica Sacro Cuore, Milano, a. a. 1998/1999.

HOEFER: Nouvelle Biographie Générale depuis les temps les plus reculés jusqu’à 1850-1860, publiée par M.M. Firmin Didot frères, sous la direction de M. le Dr Hoefer, Paris, MDCCCLVII-MDCCCLXVI, [édition anastatique] Copenhague, Rosenkilde et Bagger, 1963-1969.

MAGNO: Olaus Magnus, Historia de gentibus septentrionalibus, [titolo uniforme], Impressum Romæ, apud Ioannem Mariam de Viottis Parmensem, in aedibus divae Birgittae nationis Suecorum & Gothorum, 1555, mense Ianuario. 1a ed. italiana: Storia d’Olao Magno arcivescovo d’Upsali de’ costumi de’ popoli settentrionali tradotta per M. Remigio Fiorentino, dove s’ha piena notizia delle genti della Gottia, della Noruegia, della Suevia e di quelle che uiuono sotto la tramontana, in Vinegia: appresso Francesco Bindoni, 1561.

MARCORA: Catalogo dei manoscritti del card. Federico Borromeo nella Biblioteca Ambrosiana, a cura di Carlo Marcora, Dottore dell’Ambrosiana, Milano, Biblioteca Ambrosiana, 1988.


[1] Non sono assenti, tuttavia, posizioni categoriche, avanzate in base ad accertamenti ritenuti insospettabili: «Spettri e visioni che accadono nelle miniere non sono in alcun modo attribuibili ad elementi e cause naturali, cioè al fuoco, ai venti, ai vapori, e alle esalazioni e alla densità dell’aria, alla caligine, all’oscurità o ad altri fattori del genere. La cosa è stata infatti comprovata dalla testimonianza di un gran numero di persone, e molti sono rimasti sbalorditi a vedere e a sentire tali fenomeni e molteplici figure che ora erompevano come un turbine, ora ardevano con lo splendore di una fiamma, ora riproducevano l’oscurità del fumo, ora della tenebra, e a volte ciò si percepiva senz’alcun corpo» (cap. IX). Oppure: «Infatti in quelle regioni le bufere e i venti si sviluppano per opera dei demoni, e soprattutto in Brasile, come narra Oviedo […]. Ma sorprendente è che vengano stipulati patti e ai patti segua l’evento: ciò che accade molto spesso (cap. XII).

[2] Sia in latino (paralella), sia in volgare (paralello) – tali, quali nelle redazioni dell’opera in causa -, varianti del tardo latino parallelus, -a, -um, e del volgare parallelo, in uso dal ‘600 al ‘700 (ad esempio in Michelagnolo Buonarroti il Giovane, Annibale Caro, Gio. Battista Fagiuoli).

[3] Per la sua descrizione fisica rimando a MARCORA, 45 s.

[4] Solo in questa evenienza, titolo in volgare: che tuttavia non riveste carattere ufficiale.

[5] Per le opportune motivazioni, cfr. BONOMELLI, 91. Per la descrizione fisica dei volumi rimando a BONOMELLI, 206-207.

[6] Va anche notato, tuttavia, che l’equivoco può risalire già alle postille. In Cosmografa, 62, è annotata la referenza di «Harctus»: con la «t» o con «th», il nome effettivo, in ogni caso, è privo della consonante «c», ma tra il manoscritto volgare e i due stampati latini si assiste a ripetute operazioni di aggiunta e sottrazione della consonante «c».

[7] Giovanni Lorenzo d’Anania, detto Anania (Taverna, Catanzaro, ca. 1545 – in Calabria, 1607/9). Nel De natura Dæmonum libri quattuor, del 1570 – dedicata a Innocenzo X ma echeggiante “alcune concezioni protestanti” (DIBI, 3, 19) –, sostenne l’esistenza dei demoni celesti e sotterranei che renderebbero possibili gli esperimenti rispettivamente degli astrologi e dei negromanti. Ma gli appunti credo che facciano riferimento anche ad un’altra opera, che esponeva usi e costumi dei popoli di varie parti del mondo, in particolare del Nuovo Mondo: cui il Borromeo dedica molta attenzione. Per le due opere in oggetto, vedi ANANIA, in «Indice e Siglario bibliografici».

[8] Scrittore (1550-1634). Il titolo dell’opera è Quattre Livres des Spectres ou Apparitions et Visions d’esprits, anges et démons se mostrant sensibles aux hommes, Angers 1586; nell’edizione di Paris, 1605, Histoire des Spectres.

[9] Castelo Branco, Beira, 1511 – Costantinopoli, 1574. Ebreo di nascita (chiamato Chabit), fu fatto convertire al cristianesimo (prese il nome di João Rodrigues, Ioannes Rodericus), subì le vicissitudini dei marrani e infine ritornò alla fede ebraica (cfr. EI, 2, 795). Per la sua opera maggiore, vedi AMATUS, in «Indice e Siglario bibliografici». (Hoefer, I-II, 302 s.).

[10] Latinizzato Fernelius (Clermont en Beauvois ?, 1497 – 1558). Per la sua opera più importante, in 23 libri, Universa medicina, vedi FERNEL, in «Indice e Siglario bibliografici». In possesso della Biblioteca Ambrosiana è proprio quest’opera, alla sua prima edizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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