Recensioni, Paralella cosmographica
Testo delle recensioni e segnalazioni, in ordine cronologico di pubblicazione
Ginevra Crosignani, California Institute of Technology, Pasadena, «Archivum Historicum Societatis Jesu», vol. 77, a. 2008, pp. 218-222.
La versione latina dell’opera del cardinale Federico Borromeo, Paralella Cosmographica de Sede et Apparitionibus Daemonum Liber Unus, fu data alle stampe nel 1624. Il testo volgare, la cui redazione precede lo stampato ma possiede il medesimo titolo latino, è rimasto fino ad oggi manoscritto (p. 16).
Il pregio del lavoro di Francesco di Ciaccia consiste nella edizione critica dell’opera volgare del cardinale, accompagnata dallo stampato latino e relativa traduzione italiana. In appendice al testo è un “Indice e siglario Bibliografico” il quale, oltre a contenere i riferimenti bibliografici essenziali, contribuisce ad identificare autori ed opere citate dal Borromeo non sempre familiari al lettore contemporaneo.
La traduzione dallo stampato latino – Analogie cosmografiche sulla sede e sulle apparizioni dei demoni. In un Libro – è corredata di un apparato critico che evidenzia le discrepanze del testo latino rispetto al manoscritto volgare, ma fornisce anche informazioni di natura bio-bibliografica di notevole valore ed utilità (data la, sia pure occasionale, difficoltà di identificare gli autori postillati dal Borromeo, pp. 24-26). Come espressamente dichiarato dall’autore, lo scopo di tale traduzione è quello di offrire un documento quanto più possibile “fedele al testo latino, sia sul piano sintattico che letterale, senza essere, tuttavia, strettamente filologico”, ponendosi a metà strada tra la “conformità scientifica al testo latino e la fruibilità divulgativa” (p. 25).
Il confronto tra lo stampato ed il manoscritto volgare consente all’autore di sostenere come il secondo sia stato redatto “nel momento dell’ideazione originaria, più spontanea ed immediata, prima di essere riformulato per la stampa, cioè modificato in vista di un pubblico più vasto” (p. 18). La Biblioteca Ambrosiana conserva pure degli appunti di natura essenzialmente contenutistica, redatti in volgare, preparatori a Paralella Cosmographica. Essi constano di un blocchetto di nove foglietti, quasi certamente di mano federiciana, sulla cui “copertina” è indicata la data “1615” ed il cui ordine di successione è indipendente da quello dello sviluppo dell’opera (pp. 18-19). Lo studio di tali appunti risulta importante non solo perché alcuni di essi vennero utilizzati per la stesura di altri testi come il De cognitionibus quas habent Daemones (coevo di Paralella Cosmographica) e il De Ecstaticis Mulieribus, et illusis (1616), ma anche perché essi forniscono importanti indicazioni circa le letture praticate dal Borromeo. Interessante è, per esempio, la menzione negli appunti del Fernelius, o Jean Fernel (1497-1558), detto il “Galene moderno”, il che testimonia l’attenzione del cardinale nei confronti della scienza medica (p. 25).
Noti sono gli scritti demonologici del cardinale Borromeo ed il suo interesse per le scienze naturali. Ciò che differenzia Paralella Cosmographica dalle altre opere di argomento analogo è l’impostazione di carattere fenomenologico – medico e naturalistico – piuttosto che teologico. Certamente il demonio esiste, spesso assumendo forme fisiche, ma il cardinale è estraneo alla credenza che l’inspiegabile generante terrore sia effettivamente espressione di presenze demoniache: egli mira piuttosto a “sfatare la mentalità popolare, facilmente succube di credenze superstiziose che a quel tempo erano largamente diffuse” (Franco Buzzi, Prefazione a Federico Borromeo, Manifestazioni Demoniache, cit., p. 7 [p. 15]). Non c’è dubbio che nell’analizzare le varie opinioni circa l’apparizione ed il comportamento delle creature demoniache ed i luoghi della terra che esse (presumibilmente e stabilmente) abitano, il Borromeo si avvalga di quello che oggi definiremmo il “metodo scientifico”. In altre parole egli descrive il fenomeno, si appella poi a varie opinioni autorevoli – dalle Sacre Scritture agli autori ecclesiastici, dagli eminenti storici dell’antichità (Erodoto o Plinio) ai viaggiatori di professione (Marco Polo o Pigafetta), dai filosofi (Platone e, naturalmente, Aristotele) ai testimoni oculari (purché il loro numero sia abbastanza elevato da non lasciare spazio all’inganno) – ed il tutto pondera alla luce della ragione. Questo inteso non in senso illuministico ante litteram (la ragione umana basta a spiegare ogni fenomeno), ma come ciò che è ragionevole, ovvero pertinente a quel processo logico che è proprio della mente umana quando essa esamina la realtà fenomenologica (o descritta come tale). Le conoscenze mediche e naturalistiche servono, infatti, a demolire l’inverosimile o porlo in serio dubbio. Nei ventuno capitoli che costituiscono l’opera del Borromeo, egli descrive quali popoli dell’orbe sono noti avere maggior inclinazione per la superstizione: gli Etruschi e i Greci in primo luogo, che la trasmisero ai Romani; “l’Europa è stata più superstitiosa dell’Asia (…) Et l’Asia più dell’Africa”. Gli Ebrei non sono superstiziosi mentre lo sono i Cinesi, i Barmi ed i Lapponi (pp. 38-39). All’interno di queste macrocategorie geografico-razziali “dediti alle superstizioni sono soprattutto gli abitanti delle montagne e delle campagne e coloro che conducono una vita lontana dalla società” probabilmente perché “chi abita luoghi solitari e remoti si preoccupa dei propri numerosi problemi e non di quelli altrui; ha tempo per riflettere su tutto e di rado ne è impedito e distolto” (da stampato latino, p. 158). Ridicole sono, tuttavia, le opinioni che attribuiscono a maghi e streghe la facoltà di compiere azioni demoniache (in nome del Demonio o come se essi stessi fossero demoni): “Tutti questi detti insieme accozzati, e considerati, pare che riabbiano odore, e indicio non piccolo di superbia, ma occultissima. È maggiormente confermasi, perche nell’Asia, nell’Africa, nell’Europa, e nel Mondo nuovo quanti maghi, e quante maghe si deono ritrovare? Et che hora questi siano i primogeniti, et primogenite del Diavolo, è cosa dura da crederlo. Et sarebbe per loro, oltre a ciò, gran gloria se essi potessero in questo tempo ingannare una gran parte degl’huomini scientiati, e dei maggiori e dei più stimati della Chiesa” (pp. 42-43). Le ore notturne favoriscono poi le alterazioni delle sensazioni visive: “La notte adunque è quella che cuopre i difetti, et gl’inganni, et è madre della bugia, e delle cose solo apparenti (…)” (p. 44). I luoghi solitari e fetidi sembra incoraggino le presenze demoniache: le loro apparizioni sono più frequenti “nei deserti dell’Asia e dell’Africa e nei paesi meridionali sono più frequenti (…)” (p. 53). Non con minor bramosia i demoni cercano “i luoghi immondi”, perciò “dimorano più spesso nelle Cloache, e nelle profonde voragini di fetide acque (…) et però le caverne, i pozzi, i sepolcri spesse volte da loro sono frequentati” (p. 54). Il cardinale ritiene che sui “luoghi cavernosi” siano state dette cose “false”, ma gli appare possibile quanto raccontato da Marcin Cromer (1512-1589), vescovo di Varmia e storico della Polonia, secondo il quale da certe aperture del suolo sarebbero state udite voci di animali (cani, galli ed altri). Non v’è dubbio, tuttavia, che “vedendosi di simiglanti cose subito gl’uomini son troppo facili, et indotti concepiscono nella forte immaginatione alcuna cosa di più, e pare loro di vedere, e di sentire le maraviglie; et l’uno all’altro si appoggia, si come si dicono che fanno i cervi nel passare dei fiumi, sostenendo ciascuno di loro il capo di chi lo segue. Overo, queste voci, queste fame, et opinioni, si generano, come l’ecco, che altro non è, che il rimbombo d’una sola voce che in più bande percuote” (p. 55). Per quanto riguarda le apparizioni di spettri nelle miniere, il cardinale appare possibilista: “è come impossibile cosa il poterle assegnare a cagione naturale (…)”. La cosa è infatti comprovata dalla testimonianza di un gran numero di persone” (p. 55). Olao Magno (Olav Manson, 1490-1557) riferisce, infatti, che il maggior numero di demoni appare dove le cave sono più ricche, tanto che si è costretti ad abbandonarle; mentre Giorgio Agricola (Georg Pawer, o Bauer, 1494-1555) dice che la crudeltà dei demoni è così grande che essi uccidono gli uomini nelle cave e non si riesce a cacciarli neppure con orazioni e digiuni (p. 56). I demoni sarebbero inoltre cupidi di oro e argento ma anche di varie erbe e radici; ma sul loro desiderio di metalli preziosi il Borromeo nutre seri dubbi, giacché vi sono nel mondo altre gemme e diamanti assai più preziosi, ma di essi i demoni pare non hanno alcuna bramosia (pp. 56-57).
Per loro natura gli spiriti immondi preferiscono condizioni climatiche estreme, cioè luoghi caldissimi o freddissimi e meno frequentemente appaiono nell’acqua di quanto facciano sulla terra. Storici e naturalisti avrebbero raccontato di demoni che durante la tempesta tentarono di provocare l’affondamento delle navi, ma come le invocazioni alla Vergine Maria avessero salvato tutto l’equipaggio. Il cardinale cita inoltre la testimonianza personale di uomini seri (“gravi persone”) con cui egli stesso avrebbe parlato: Bartolomé Carreno (che scopri le Bermuda nel 1538) riferisce che una tempesta a largo di queste isole sospinse la sua nave nel porto di Lisbona nell’arco di una notte. Secondo il Borromeo “in questo caso, i testimoni degni di fede (…) combattono, e contrastano con la ragione, e con l’esperienza” per il fatto che se la distanza fosse stata effettivamente percorsa in così breve tempo l’imbarcazione si sarebbe sfasciata ed i naviganti tutti annegati. I demoni hanno certo la facoltà di “condensare l’aria” ma il cardinale ha gran sospetto che il racconto sia stato inventato. Dato che erano ben pochi i testimoni del fatto, per loro è stato facile accordarsi sulle cose da dire, visto che nessuno poteva confutarli. “Et si come fu detto quel proverbio, che ogn’uno fuori di casa sua può dire quello che vuole della sua propria casa, poiché non v’è testimonio in contrario (…). Et entrata poi che è simile opinione negl’animi, sempre le cose si accrescono, e si magnificano, e giamai non pare ad alcuno di dir bugia (…) ma solamente di manifestare la pure, e semplice verità” (pp. 64-65).
L’emisfero settentrionale del mondo ha cattiva fama per la presenza di spiriti maligni come sostengono vigorosamente “i Cabalisti, et i Talmudisti” (p. 69) ma il Meridione non è da meno: laddove i popoli settentrionali sono di corporatura più robusta, i meridionali sono di mente più fine e dedita alla contemplazione. Proprio il meridione ha infatti generato le arti e le scienze più alte, come la geometria, l’astronomia, la cosmografia e l’aritmetica anche se il bell’ingegno può spesso esser fonte di superstizione. Tuttavia, la maggiore religiosità dei popoli meridionali, contrariamente ai settentrionali ove sono maggiori incantatori e maghi, fa sì che in questo luogo della terra non abbondino gli spettri ed i fantasmi (da stampato latino, p. 191).
Gli ultimi due capitoli, il XX ed il XXI, sono dedicati alla possessione demoniaca (“gli energumeni”) ed alla brutta forma fisica dei demoni (“dei brutti aspetti diabolici”). Alcuni uomini sono realmente posseduti dal demonio, come assodato dagli esorcismi che sono ogni giorno praticati e dall’antichità del rituale, ma nella gran parte dei casi tali fenomeni sono da ricondursi a malattie fisiche, come già testimoniato da Ippocrate (p. 86). Gli eretici sostengono che la loro religione riformata abbia drasticamente ridotto il numero di demoni nelle loro regioni settentrionali, ma si può facilmente controbattere che tra i pagani il numero degli ossessi era inferiore che tra i cristiani. Gli stessi turchi sono meno infestati dai demoni dei cristiani: dunque la loro religione è più santa di quella cristiana? (p. 89).
Circa la forma fisica del demonio, le più antiche testimonianze gli attribuiscono un aspetto disgustoso: esso fece infatti irruzione nel mondo sotto forma di rettile, ma anche le altre forme sono tutte brutte e sgradevoli. In qualche luogo appaiono come omiciattoli pelosi ed irsuti, ma sembra che la più spaventevole immagine del demonio sia una statua con cui esso viene rappresentato in Cina e similmente nel regno di Calicut, con le corna, unghie da rapace e faccia da mostro. Tutto ciò perché essi desiderano prima incutere ammirazione ma poi terrore più che amore.
Gli ultimi due capitoli faranno forse sorridere il lettore, ma tenuto conto che l’opera del cardinal Borromeo fu scritta in un’epoca tradizionalmente definita superstiziosa e che la scienza moderna era ai suoi albori – le opere galileiane “Sidereus Nuncius” e “Saggiatore” furono pubblicate ripettivamente nel 1610 e 1623 (solo di un anno precedente Paralella Cosmographica) – l’equilibrio e la saggezza dei giudizi espressi sono sorprendenti. In materia di demonologia, parte integrante del patrimonio teologico di giudaismo, cristianesimo ed induismo, il bilancio dell’opera è decisamente a favore della razionalità e della moderazione: degni sentimenti di un ecclesiastico che fu il creatore della prima biblioteca pubblica europea, l’Ambrosiana, dopo la Bodleian Library di Oxford. California Institute of Technology, Pasadena. Ginevra Crosignani.
Giorgio Dell’Oro, «Società e storia», 2008, n.° 119, pp. 180-181.
Federico Borromeo si occupò di demonologia in varie opere, tuttavia quella qui presentata si differenzia in modo consistente dalle altre.
Nei suoi scritti De cognitionibus quas habent Daemones e De ecstaticis mulieribus, et illusis, l’approccio è chiaramente legato a problematiche dottrinali e teologiche, che in buona parte si prestavano a speculazioni intellettualistiche poco accessibili anche al clero minore. Nel presente scritto l’autore cercò invece di approfondire l’indagine sulla presenza del demonio nell’ambiente fisico e di conseguenza anche lo stile risulta essere più narrativo e meno barocco rispetto agli altri suoi testi.
Attraverso questa ricerca il Borromeo cercò di illustrare, nel pieno rispetto della tradizione aristotelica e galenica, quali fossero le possibili esperienze sensoriali che l’uomo poteva avere quotidianamente della presenza del maligno. Dagli appunti preparatori emerge che il prelato si sforzò di estendere le osservazioni ben oltre gli angusti orizzonti italiani e a tal fine egli fece ricorso alle opere dell’età classica, a quelle di autori medievali e coevi, e, addirittura, alle relazioni dei viaggiatori e dei missionari, specie gesuiti, in modo da fornire al lettore la conferma della presenza di demoni in tutte le terre e culture conosciute.
Nel corso della trattazione scaturisce l’interesse del prelato per la scienza, pur entro i limiti dei dogmi imposti da Roma. Di conseguenza anche l’approccio scientifico viene piegato ai propri fini e utilizzato per discernere i racconti dovuti all’ingenuità e alla superstizione degli uomini, dai fatti effettivamente riconducibili alla presenza di demoni e a una realtà ultraterrena. Anche in questo caso però egli si muove nel rispetto delle tradizioni classiche (Aristotele, Plinio) e dottrinali del tempo e pertanto lo scritto risulta indissolubilmente legato alla «radicale e profonda convinzione, molto diffusa all’epoca, della puntuale e insistente incombenza del demonio sulla terra e tra gli umani (p. 14)».
Il testo fu redatto sia in latino che in volgare, ma solo la prima versione venne data alle stampe nel 1624. Il manoscritto di questa edizione è andato smarrito; tuttavia, secondo il curatore è da ritenersi quasi certo che per la prima stesura il prelato utilizzò la lingua corrente, anche perché essa era il risultato di una raccolta disordinata di appunti iniziata intorno al 1615. L’analisi comparata del manoscritto e dello stampato fa poi emergere una lunga opera di correzione e di revisione, non sempre riconducibile al Borromeo, e inoltre affiorano alcune differenze tra i due lavori, che però non sembrano particolarmente rilevanti ai fini interpretativi.
Al termine della presentazione il curatore riporta sia l’edizione a stampa, con relativa traduzione, sia il manoscritto volgare. L’edizione è completata da utilissimi indici: uno degli autori e delle opere citate nel testo, un altro «dei nomi di persona, di luoghi e di popoli» e un terzo «delle cose notabili». Giorgio Dell’Oro
Luciano Nanni, Literary.it, 12/2008.
In ecdotica si parte dalla riproduzione in fotocopia (ms.) e anastatica (stampa) fino alla trascrizione nel linguaggio corrente: qui si è seguita una prassi piuttosto rigorosa, salvo alcune deroghe elencate nella nota critica (pp. 27-30). L’opera del cardinal Borromeo vide la luce nel 1624. Il volume curato da F. di Ciaccia comprende: a) il ms. in volgare che si suppone anteriore alla stampa; b) l’edizione in latino; c) la traduzione dal latino del curatore. Opera di notevole interesse (il Borromeo scrisse un centinaio di lavori a carattere religioso) in cui la superstizione non riesce del tutto a separarsi dai fenomeni naturali e dalla stessa religione, creando perfino delle commistioni (Del aere. Capo 13): difficile oggi pensare che taluni luoghi, come le miniere (fodine), siano infestata da demoni. L’autore però, a proposito delle possessioni diaboliche, comprende che accadono ‘assai volte senza colpa dell’ossesso’ (Degl’energumeni. Capo 20). [Luciano Nanni]
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