2020 – Guerra carestia peste. Con i Frati Cappuccini nell’opera manzoniana
Guerra carestia peste. Con i Frati Cappuccini nell’opera manzoniana, Presentazione di Costanzo Cargnoni, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana («Centro Studi Cappuccini Lombardi». Nuova serie; 6), 2020, pp. 549 + 64 illustrazioni f.t.
Giovanni Spagnolo, in «Fra Noi. Notiziario», Provincia dei Frati Minori Cappuccini di Lombardia, 84 (2020) pp. 20-22; poi in «italia francescana», 1-2 (2020) 185-188.
Non capita tutti i giorni, nella nostra epoca informatizzata e degli e-book, prendere tra le mani un libro e sentire l’odore tipico del “fresco di stampa” che associo, spontaneamente e assai volentieri, all’odore del pane appena sfornato e di tutto ciò che nasce e vede la luce (lo stesso si diceva infatti dei libri appena stampati).
Questa la gradita e gioiosa esperienza che ho potuto sperimentare, pur in un contesto di rigido isolamento per la mia positività al COVID-19, cominciando a sfogliare il libro davvero voluminoso che il prof. Francesco Di Ciaccia aggiunge alla sua già consistente bibliografia, che spazia dalla storia alla letteratura, alla filologia e alla saggistica, come si può verificare nella pagina a lui dedicata nel sito www.literary.it e nel suo sito www.diciaccia.it e dalla nota 2, alle pp. 5-6 di questo volume.
In realtà questa pubblicazione, che arricchisce la nuova serie della collana del Centro Studi dei Cappuccini Lombardi, tenacemente rilanciata da Costanzo Cargnoni, che non ha certo bisogno di presentazioni, per la sua arcinota competenza in tutto ciò che riguarda la storia e la spiritualità dei cappuccini, potrebbe essere considerata come la somma di tre distinti saggi, un “trittico” appunto lo definisce lo stesso Cargnoni in Una presentazione che apre il libro.
Naturalmente, in questa parte introduttiva, padre Costanzo approfondisce la parte che gli è più connaturale e cioè il ruolo e la presenza dei frati cappuccini, non solo nell’opera manzoniana, ma nella storia in generale, mettendo in evidenza, per esempio, con documenti d’archivio inediti, quello che era il rapporto dei cappuccini con il Manzoni, anche in relazione alle scelte e simpatie politico-filosofiche dello scrittore, in modo particolare il “liberalismo” e il “rosminianesimo”, nella cui querelle diversi frati, non solo lombardi, furono coinvolti.
Ma anche su guerra, carestia e peste non mancano precisazioni e indicazioni preziose che certamente aiutano a capire, e nello stesso tempo a valutare, le scelte dell’Autore che portano al capolinea di tutto il lungo percorso: una cappella costruita nell’800 a Condino, in Trentino, per ricordare i morti di peste e di fame del 1630 e “Qui la nostra memoria storica si trasforma in preghiera” (pp. 5-14).
A mo’ di premessa, in una sorta di prefazione, che l’Autore intitola simpaticamente Panoramica corsara (pp. 15-19), sono offerte alcune chiavi di lettura del volume, precedute da una professione di umiltà che depone a suo favore: “devo tutto a chi mi ha preceduto” e che il lavoro offerto in queste pagine “consegue ad anni di letture e studio, ma anche a un impulso di chiarificazione intorno ad alcuni interrogativi su alcuni punti delle problematiche in oggetto” (p. 15).
Sulle tematiche trattate e le implicanze politiche, che ne fanno da cornice e da sfondo, l’Autore offre poi qualche generica indicazione metodologica, ma anche sulla “complicata e dibattuta concezione dell’intervento demoniaco nelle vicende umane nella modalità sia dell’operatore fisicamente diretto, sia del mandante degli operatori umani”, la scelta “è puramente e limpidamente a favore della concezione espressa, limpidamente e puramente, da Alessandro Manzoni” (p. 19).
La prima parte del trittico del prof. Di Ciaccia affronta il problema, forse storiograficamente più ricorrente, e cioè quello della Guerra e rivoluzioni (pp. 25-194), con particolare attenzione naturalmente alla guerra nei Promessi Sposi, colonna sonora di tutto il romanzo, che vedrà poi in azione sterminatrice e inquietante la carestia e la peste.
In parallelo, in altri due capitoli, l’Autore non manca di analizzare, e in qualche modo interpretare, sia le Guerre rivoluzionarie che le Guerre ideologiche,in cui riesce a innescare quelle che lui chiama parentesi o riflessioni “extravaganti” (p.17) che gli offrono però l’agio, in questo caso, di parlare di “Provvidenza” e del “Patriottismo del Manzoni”, in prospettiva di quelle che saranno poi le Guerre ideologiche risorgimentali che non escludono le “controversie fra i cattolici”.
Nell’Appendice a questa prima parte, Di Ciaccia mette a confronto “l’indole e il pensiero politico” di Manzoni e di Massimo d’Azeglio e, pur evidenziando le differenze tra i due, dovute soprattutto ai loro diversi modi di agire, li qualifica come “artefici di prim’ordine del Risorgimento” (p. 188).
La seconda parte del volume affronta, in due corposi capitoli, la Carestia (pp. 197-264) a partire dalla descrizione che ne fa il Manzoni con l’inserzione di due personaggi protagonisti del romanzo: il cardinale Federico e Renzo, entrambi in relazione al pane con l’approfondimento, assai interessante ed originale: Il dono dell’<inutile> e i sospiri nel Palazzo (pp. 221-231).
Nel secondo capitolo il prof. Di Ciaccia colloca interessanti excursus e riflessioni “extravaganti”, sempre pertinenti e avvincenti, non trascurando collegamenti che includono “L’elemosina nelle Osservazioni sulla morale cattolica” e “Elemosina ed economia”, argomenti che da sempre hanno alimentato, e continuano ad alimentare, un vivace dibattito a più voci.
La peste occupa la Parte terza di questa orchestrale narrazione, in cui il prof. Di Ciaccia ha fatto confluire, come sappiamo, gli studi e le ricerche di tutta una vita partendo, nel capitolo primo, ad occuparsi della peste e dei frati cappuccini (pp. 267-359) anche alla luce del sottotitolo Con i frati cappuccini nell’opera manzoniana, in cui largo spazio ha l’analisi di un classico sull’argomento e cioè il Dialogo della peste di Paolo Bellintani da Salò (pp. 303-336).
Nel capitolo secondo l’Autore concentra la sua attenzione sulla Parola e sul Processo, privilegiando da un lato il “ragionamento” di Felice Casati (p. 365) e la “traversata di redenzione” con la sua “vigna”, indice “della dissoluzione” (p. 392ss) e dall’altra analizzando “il sogno di don Rodrigo” (p. 398ss). L’ultima parte del capitolo, il paragrafo 2, è occupato dal “processo agli untori” (p. 405ss) che culmina con le interessanti riflessioni sulla Storia della colonna infame che il prof. Di Ciaccia non esita a definire un vero e proprio “romanzo <religioso>” (p. 461ss).
Pertinente a questo argomento, è l’Appendice alla parte terza in cui l’Autore narra La peste del 1630 nelle Giudicarie, che costituisce il nucleo di quella peste “chiamata, letterariamente, manzoniana” e l’assistenza dei cappuccini nei Lazzaretti, descritti qui con toni di crudo realismo (p. 473ss).
Scrupolosamente, alla fine della sua narrazione, il prof. Di Ciaccia elenca, in ordine alfabetico, i Testi citati o menzionati (pp. 485-512), inusuale ma assai utile repertorio, le Indicazioni bibliografiche (pp. 513-523), i Nomi di persona (pp. 525-542) e l’Indice delle illustrazioni, 64 per l’esattezza, a colori e in b/n, disseminate sapientemente lungo tutto il volume, gioia per gli occhi del lettore e corredate da opportune e dettagliate didascalie (pp. 543-546).
Nonostante la brevità e l’inadeguatezza di questa recensione, vogliamo comunque esprimere la nostra gratitudine al prof. Francesco Di Ciaccia che ha messo a disposizione di tutti gli studiosi e – perché no? – anche dei curiosi, un materiale così sconfinato, utile per approfondire tre temi: la guerra, la peste e la carestia, vere colonne sonore, anche con nome diverso, in questa strana avventura che è la storia di esseri smemorati altrimenti detti uomini. [Giovanni Spagnolo]
Luciano Nanni, in Literary.it nr. 6/2020. Saggistica
Come testimonia questo rilevante saggio, la lettura di un romanzo, sia o no a carattere storico, richiede un approfondimento, segno che la scrittura possiede tali prerogative in virtù del suo collegarsi in ogni caso a un ipertesto.
Le tre parti del romanzo mettono in luce un’attività preziosa dal punto di vista umano e organizzativo: quella dei frati cappuccini durante particolari periodi di crisi. Nello stesso tempo il saggio definisce le idee del Manzoni in rapporto a quegli eventi: una condizione che potremmo ritenere laica e insieme religiosa, ma tenendo separati i due elementi.
Credere come taluni hanno ipotizzato che I promessi sposi sarebbero una specie di feuilleton all’italiana è un errore di valutazione: il romanzo è invece un modello per chi intende scrivere lavori di questo tipo, e modello anche, sia chiaro, per l’uso mirabile della lingua italiana.
Del resto il Di Ciaccia ci introduce nelle qualità narrative pur partendo da un soggetto, ossia i frati cappuccini visti nell’ottica dello scrittore. Disquisire poi se i frati cappuccini fossero conservatori o progressisti ha un senso assai relativo, tenendo presente la funzione che essi svolsero e, pensiamo, ancora svolgono, con quel senso di umanità e carità cristiana che va facendosi sempre più raro.
Se la guerra è una sciagura creata dagli esseri umani, ma soprattutto da chi li comanda, ne consegue la carestia, con i risultati che ciascuno può immaginare. Il terzo capitolo è il più impressionante. La peste, con le dovute proporzioni, quale flagello ‘naturale’, riflette la sua incidenza nell’oggi, in quanto siamo colpiti da un virus che fortunatamente può venir contrastato in misura più adeguata.
Le descrizione degli effetti della peste che troviamo nei Promessi sposi (siamo nel 1630) è terribile: invitiamo perciò i lettori a prenderne atto leggendo questo libro. Un vero inferno in terra. E spesso, chi aveva possibilità economiche poteva in qualche modo sfuggirvi. Simile calamità fa uscire il meglio e il peggio di ogni individuo. I frati cappuccini esprimono il meglio, soccorrendo e affrontando il contagio, al punto che verranno delegati dalle autorità civili.
Questa opera fondamentale nasce indubbiamente da una solida cultura. Numerose le illustrazioni. Completano il volume: indice dei testi citati o menzionati; indicazioni bibliografiche; indice dei nomi di persona; indice delle illustrazioni; indice generale.
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Il libro che qui annuncio è: Francesco Di Ciaccia, Guerra carestia peste. Con i Frati Cappuccini nell’opera manzoniana, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2020, pagine 549 + 64 illustrazioni f.t., in b/n e a colori, € 34,00 (I.C.), ISBN 978-88-7962-335-3. By Daniele130Mag 28, 2020, 15:25 Pm0 Redazione Daniele | Romaweblab
Tre disgrazie, tre dolori, tre ecatombi. Guerra carestia peste. Ognuna, la causa più ricorrente della morte in uno stesso tempo. E quando intervengono tutte insieme, l’umanità è stravolta. Come è avvenuto spesso. È avvenuto spesso, perché guerra significa distruzione, distruzione vuol dire perdita di molte risorse produttive, e l’una situazione e l’altra favoriscono le malattie.
Il libricino che presento ripercorre queste disgrazie, queste sofferenze, questi catafalchi rileggendo l’opera manzoniana. Dico catafalchi, cioè morti. Ma anche palchi. Sì, palchi di una ulteriore distruzione: quella della ragione. Il libricino non risparmia il capitolo di maggior penosità, il “sonno della ragione”, quel sonno che genera mostri, cioè li crea, per scagliarsi contro gli ingenui, contro gli insignificanti, contro gli inventati untori. Perché il sonno della ragione ha bisogno di credere il falso, cioè che la ragione sia vigile, sia sveglia.
Oggi, in tempo di pandemia, non ci abbandoniamo alla corsa contro il capro espiatorio, per scorticarlo, esibirlo, innalzarlo sul palco della tortura e della croce. Però abbiamo qualche motivo per imparare alcune sagge indicazioni di quei tempi, quando alcuni, pochi o molti che siano stati, hanno mostrato con le opere come si deve guardare il mondo, l’uomo, il destino. E abbiamo anche da guardare alle esperienze che sono state fatte, in quel passato. Che potrebbe essere presente. E futuro.
Nello scorrere la tragedia della peste seicentesca, un dato ci riempie di gioia il cuore: di contro alla codardia dei medici di quel tempo, la dedizione di tutti gli operatori sanitari nell’attuale pandemia ci colma di comune orgoglio: comune, perché è un esempio per l’umanità. All’epoca, riferisce il Manzoni a seguito degli storici coevi alla peste, gli ospedali rimasero «senza medici; e, con offerte di grosse paghe e d’onori, a fatica e non subito, se ne poté avere». Oggi, essi si sono offerti, a volte, senza neppure essere richiesti; e sono morti senza risparmiarsi.
Come autore del presente libricino mi sento di dissuadere dal leggerlo, se dal passato non si vuole imparare qualche cosa. Perlomeno una: che non si impara mai abbastanza.
Le precedenti aggressioni del morbo non presentano né possono presentare le stesse caratterizzazioni – scientifiche, sociali, organizzative, mentali – di quelle odierne. Ciò è un dato sicuro. Ma è anche certo che alcune pulsioni psicologiche risuscitano, pur ricalibrate e aggiornate, come al tempo della “peste manzoniana”.
COMUNICATI STAMPA.NET Le riflessioni del Manzoni su guerra e pestilenze: quando la mente si lascia vincere da presunzione e stoltezza BY FRANCESCO DI CIACCIA ON 12 GIUGNO 2020 CULTURA, NAZIONALI https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&q=guerra+carestia+peste.+con+i+frati+cappuccini+nell%27opera+manzoniana
Roma, 12 giugno 2020 – È stato pubblicato lo studio che si propone di analizzare “I promessi sposi”, il capolavoro manzoniano, che tratta un punto di vista particolare: la presenza di quel che di peggio esiste nel mondo, di quel male che nella storia assume diverse forme. Quasi un quadro apocalittico, a livello civile, morale, esistenziale.
L’opera, dal titolo “Guerra carestia peste con i Frati Cappuccini nell’opera manzoniana“, elaborata dal Prof. Francesco Di Ciaccia, docente presso l’Università Statale di Milano, al Dipartimento di Filologia moderna, ed esperto dell’opera manzoniana, accosta successivamente le tre tematiche ricordate nel titolo: la guerra, la carestia e la peste, cogliendo quanto di queste realtà sia imputabile alla mente umana quando non sia sorretta dalla fede, e si lasci vincere dalla malattia del volere, dalla presunzione e dalla stoltezza.
Parlare di distruzioni e massacri, parlare dei morsi della fame e dell’inedia generalizzate, parlare di patimenti con lo spettro di pandemie che prostrano il tessuto sociale non significa altro che parlare dell’umanità.
Raccontare la storia universale. Ma non è tutto. Se fosse solo questo, sarebbe quasi un bel vivere. Si deve anche parlare di offuscamento dell’intelletto, si deve anche dire del dominio dell’“opinione” sulla ragione.
La coscienza ne resta stordita. E si affollano i pregiudizi, si addensano le paure, si scatenano ingiustizie. Tutto ciò, ho detto, non è romanzo. O meglio: è romanzo. Ma romanzo così desolante, che è realtà storica: avvenimenti nel tempo e nello spazio.
Tutto questo è nell’opera di maggior successo di Alessandro Manzoni.
Però, nella storia c’è anche la consolazione di contro alla disperazione, c’è anche il dono di contro alla rapina, c’è anche la difesa del giusto e del debole di contro alla sopraffazione e all’angheria, e c’è l’amore, che cura, di contro all’incuria.
E questo è romanzo. O meglio: non è romanzo.
È romanzo così verosimile, che anch’esso diventa realtà.
Si tratta, per dirlo con un titolo, de “I promessi sposi”, con l’Appendice della Storia della Colonna infame.
“Certo, nel libricino che io presento c’è anche dell’altro. C’è studio critico, c’è indagine storica, c’è qualche osservazione addirittura filosofica, se non proprio teologica, e c’è molta storia dei frati minori cappuccini nel loro servizio, diventato addirittura ufficiale, pubblico, socio-civile, nella società europea Cinque-Seicentesca, alla popolazione strapazzata dalla pandemia” spiega il Prof. Di Ciaccia.
Si tratta dunque di un libricino, sì, ma abbastanza variegato da prendere in considerazione, ad esempio, anche i rapporti di Alessandro Manzoni con le istanze risorgimentali dell’Italia, la sua posizione nei confronti del potere temporale del papato.
“Ma c’è anche spazio per immersioni esistenziali nel romanzo e fuori dal romanzo, per stralci biografici e storici su personaggi ed episodi, nel romanzo e fuori dal romanzo, come la cantonata della cannonata in un cantone di Milano, in quel di Monforte, il 9 maggio 1898. In pratica c’è da leggere e c’è da tralasciare. Tutto dipende dai gusti, dal tempo e soprattutto dalla curiosità“, conclude il Prof. Francesco Di Ciaccia.
PADOVA, 28 agosto, 2020 / 4:00 PM (ACI Stampa) https://www.acistampa.com/tag/francesco-di-ciaccia
Letture, i cappuccini a Milano, dalla peste di Manzoni alle persecuzioni moderne. Un libro ripercorre il lavoro dei Cappuccini milanesi di Caterina Maniaci
1630, a Milano, nel pieno della pestilenza che sta decimando la popolazione. Renzo Tramaglino vaga per la città stretta dal terrore e dalla morte, assiste con il cuore dolente a scene colme di pietas, come quando incontra la giovane madre che porta in braccio la figlioletta morta nel carro degli orridi monatti.
Entra nell’inferno del Lazzaretto, in cerca della sua Lucia e di tutti quelli che ha perduto, nelle convulse vicende degli ultimi anni. Nel Lazzaretto incontra fra Cristoforo e alcuni suoi confratelli, che ogni giorno vivono in questo girone dantesco tentando di portare un po’ di luce e di fede. Alessandro Manzoni ha creato scene memorabili nei suoi Promessi Sposi, ma se le sue “creature” sono appunto scaturite dalla fantasia creatrice è alla realtà storica e a quella che conosceva personalmente che lo scrittore ha guardato per creare il suo capolavoro e consegnare all’immaginario collettivo anche figure memorabili di religiosi che davvero hanno dato testimonianza della loro fedeltà alla propria vocazione. I cappuccini, soprattutto.
Con il loro saio riconoscibile da lontano si sono aggirati per secoli nei luoghi più tristi e pericolosi, tra tormenti, malattie, solitudini, morte. I cappuccini hanno dimestichezza con le sciagure della vita degli uomini, le condividono, nella consapevolezza che, in questo modo, rendono visibile e concreta la misericordia divina nella vita quotidiana. Un grande santo cappuccino è Leopoldo Mandic, così caro a tanti pellegrini che anche in tempo di pandemia non hanno rinunciato a visitare il santuario a lui dedicato, a Padova.
Di recente è stato pubblicato un saggio sul tema Guerra, carestia, Peste. Con i Frati Cappuccini nell’opera manzoniana, scritto da Francesco Di Ciaccia, docente, studioso di chiara fama proprio del corpus manzoniano, autore di numerosi studi e saggi. Questo studio, in particolare, analizza il mondo dei Promessi Sposi anche dal punto di vista della presenza dell’ordine religioso, in primo piano nell’ordito narrativo del romanzo. A cominciare dalla presenza del formidabile fra Cristoforo. Lo vediamo, ad esempio, uscire dal suo convento a Pescarenico, mentre osserva il paesaggio intorno a lui, sprofondato in una visione non pervasa dal senso idilliaco della campagna, ma dalla consapevolezza della miseria e delle difficoltà in cui vive la maggioranza della popolazione, esposta ai colpi dell’arroganza di signori e signorotti, dalle guerre condotte per ambizioni e sogni di potere, per un diffuso uso dell’oppressione e della violenza. Incontra persone, a cui non può neppure fare dell’elemosina e può offrire loro compassione e preghiere. Del resto, come viene ampiamente sottolineato nel saggio stesso, i cappuccini considerano la legge della carità come imprescindibile, a cui si sottopongono con una disciplina rigorosa, anche fisica.
Nella Presentazione del saggio fra Costanzo Cargnoni ricorda che i frati sono stati a lungo nell’assistenza ai condannati a morte, ai malati gravi, a cominciare dagli appestati. Si cita l’esempio di san Giuseppe da Leonessa, a testimonianza di ciò.
Il saggio del professor Di Ciaccia permette di compiere un viaggio nel mondo manzoniano, un mondo, come sottolinea l’autore, segnato dal male e dalla caducità umana ma al tempo stesso riconsacrato a Dio attraverso gli umili, i dolenti, gli oppressi e a chi si fa “prossimo” accanto a loro. “Anche la natura si colora di divino e direi proprio di un divino inteso nel senso cristiano, nell’opera del Manzoni”, scrive Di Ciaccia, ricordando, tra gli altri, l’episodio di Renzo che ritrova il fiume Adda dopo aver vagato nel terrore per tutta la notte, e nell’alba sente il rintocco delle campane e tutto quello che lo circonda è animato da questo senso della Grazia che spira ovunque.
Un saggio dunque per riscoprire dunque l’infinito mondo dei Promessi Sposi, quell’esperienza della peste che tanto ha da dire anche ai nostri giorni. Ma anche la presenza di un ordine religioso, come quello dei cappuccini, scaturito dal rigoglioso fusto della spiritualità francescana, la cui storia si intreccia con la Storia universale, talvolta riuscendo a trasformarne persino il corso. Questo appare con chiarezza attraverso una figura e una “storia nella storia”, citata nel saggio e che da sola varrebbe la trama di un romanzo: frate Pacifico dalla Scala, spintosi nei luoghi del Levante, come scrive lui stesso da Aleppo il 19 luglio 1627 al padre Guardiano dei cappuccini di Messina. Nella lettera egli spiega che “si è già fondato un conventino nella città di Costantinopoli, con meraviglia (…) anche dei turchi che pure, per carità, ci fanno abbondanti elemosine. (…) Abbiamo ottenuta dal Grande Turco l’autorizzazione di abitare non solo in questa città di Aleppo e di vivere secondo la religione cristiana, ma di andare in tutti gli stati dove ci sembrerà opportuno. Il grande signore permette a tutti i cappuccini di andare e di abitare in tutte e città, villaggi e castelli del suo impero, di celebrare la messa, di predicare e battezzare coloro che sono attirati da Dio al cristianesimo secondo la nostra legge, senza che nessun pascià, giudice, turco o soldato possa impedirlo che ci venga imposto di pregare in alcuna maniera, né per i viaggi e neanche per passare in quelle zone dove vorremmo insediarci: un’autorizzazione che, finora, non era mai stata accordata a nessuno”. Francesco Di Ciaccia, Guerra, carestia, peste. Con i Frati Cappuccini nell’opera manzoniana, Edizioni Biblioteca Francescana Milano, pp.549, euro 34 Tags: letture I Cappuccini all’epoca di Manzoni Francesco di Ciaccia Edizioni biblioteca francescana
Gioele Marozzi, in «Picenum Seraphicum – Rivista di studi storici e francescani», vol. 34 (2020) 208-210.
“La famine, la peste et la guerre, sont les trois ingrédients les plus fameux de ce bas monde”. Così annotava Voltaire nel suo Dictionnaire Philosophique e parimenti, riprendendo un passo di Ugo Dotti, apre la propria Panoramica corsara (p. 13) Francesco di Ciaccia: evidenziando le tre aree tematiche che saranno affrontate nel proprio lavoro, diviso in sezioni intitolate rispettivamente Guerra e Rivoluzioni la prima, Carestia la seconda e Peste la terza. Introdotto da una breve presentazione di Costanzo Cargnoni, dalla citata Panoramica corsara e da una nota metodologica in cui l’autore spiega ai propri lettori i criteri formali seguiti nella redazione delle note così come degli indici e degli altri apparati, il volume si apre con la descrizione della guerra, che, pur non costituendo il tema preponderante de I promessi sposi, offre a Di Ciaccia l’opportunità di trattare argomenti a questo strettamente legati, come il potere politico e la dicotomia oppresso-oppressore. È il secondo paragrafo di questo capitolo, intitolato I frati cappuccini e la guerra “manzoniana” (p. 44), che inserisce la questione letteraria nel panorama degli studi francescani in generale e dei frati cappuccini in particolare, attraverso considerazioni legate al ruolo dell’Ordine in seno a conflitti quali la Guerra dei Trent’anni. Attraverso la descrizione di alcuni personaggi, come Joseph de Paris – al secolo François-Joseph Le Clerc – e il romanzesco fra Cristoforo, nonché di fatti extravaganti (p. 49) quali i dissapori sperimentati in Turchia tra i frati cappuccini e gli osservanti, il lettore è condotto al secondo capitolo, ancora dedicato alle guerre, ma in particolare a quelle rivoluzionarie. È questo il contesto scelto dall’autore per trattare un tema senz’altro molto presente nell’opera di Manzoni, e cioè il ruolo delle alleanze nella determinazione della storia di una nazione: «chi va a combattere un altro popolo, profondendo ricchezze e rischiando la vita, non si muove per andare a fare un regalo a uno “straniero”; anzi, gli stranieri che si sono combattuti tra loro per un terzo popolo si divideranno i beni di quest’ultimo» (p. 87). Di Ciaccia cita l’esempio assai calzante dell’Adelchi e non rinuncia, pur ripercorrendo i passaggi in cui più viva si presenta al lettore la manzoniana provvidenza, a tracciare le linee principali del patriottismo dell’autore lombardo, secondo cui se è vero che «la soluzione armata costituisce l’extrema ratio», è altrettanto vero che «esiste un diritto naturale – un “consacrato diritto”, originariamente divino – all’indipendenza dei popoli (p. 103). Un patriottismo che Manzoni non visse soltanto umanamente, ma affidò anche e soprattutto alle sue opere, come spiegato in Funzione patriottica del romanzo storico e principi liberali ne I promessi sposi (p. 115), il paragrafo che chiude il capitolo II e conduce il lettore alla sezione successiva, dedicata ancora alle guerre, e in particolare a quelle ideologiche. Nell’articolata struttura che l’autore ha impresso al proprio lavoro, in cui ciascuna delle tre parti principali si sviluppa in capitoli a loro volta composti da paragrafi e sotto-paragrafi, un ruolo di grande rilievo viene riservato alle descrizioni e alle argomentazioni, come quella dedicata all’attività della Congregazione per la Dottrina della Fede, affidata alle battute iniziali del capitolo III. Attraverso il ricorso a documenti d’archivio e a paralleli con la letteratura manzoniana, Di Ciaccia descrive conflitti di varia natura, come nel caso del paragrafo Guerra delle idee: il rogo (p. 147), dove la trattazione del tema si unisce a quella delle vicende biografiche di Manzoni, descritte in particolare attraverso la ricostruzione del legame dello scrittore lombardo con i cappuccini (p. 149). Attraverso il confronto tra il pensiero manzoniano e quello di d’Azeglio, trattato nell’appendice alla parte prima, si arriva alla seconda sezione del volume, dedicata al macro-argomento carestia. Anche in questo caso il lavoro si articola in numerosi capitoli e paragrafi, il primo dei quali dedicato alla presenza di questo tema ne I promessi sposi. Di Ciaccia ripercorre i capitoli in cui Manzoni descrivere l’operato di Federigo Borromeo e di Renzo durante la rivolta per il pane, e indugia nella ricostruzione della storia di fra Cristoforo, entrato nell’Ordine dopo aver commesso un omicidio. È proprio questo riferimento a un episodio della vita del frate che permette all’autore di offrire, nel capitolo successivo, un cenno storico sul ruolo dei cappuccini nelle carestie. Il discorso prende avvio «dalle loro origini, intorno al terzo decennio del Cinquecento» (p. 233) e si snoda attraverso la rievocazione di pratiche come quella dell’elemosina delle noci – cui è dedicato il paragrafo La fiaba per l’elemosina (p. 248) – scelta perché descritta anche da Manzoni entro le sue Osservazioni sulla morale cattolica (p. 257). Su queste considerazioni si chiude la parte II e si apre la terza, dedicata alla peste. Anche in questo caso il primo elemento d’interesse riguarda il romanzo manzoniano, accuratamente analizzato nel paragrafo Peste e cappuccini ne I promessi sposi (p. 269): la citazione di ampi brani dell’opera di Alessandro Manzoni permette a Di Ciaccia di offrire al lettore le coordinate di un discorso che mira a collegare la vicenda letteraria trattata nel romanzo a quella reale, in particolare in relazione all’operato dei cappuccini che «non solo prestarono servizio nei vari lazzaretti, ma furono essi i principali attori in campo e i più numerosi in attività di servizio continuativo e per tutta la durata dell’epidemia, dal mese di marzo del 1630 fino al mese di febbraio del 1632» (p. 275). Mette conto notare, a tal proposito, un elemento interessante che interviene ad arricchire la trattazione dell’autore, e cioè la presenza in tutto il corpo del libro di eleganti immagini e riproduzioni di opere; queste ultime, infatti, consentendo di avere contezza visuale di quanto descritto nel testo, permettono non solo di avere immediatamente idea delle condizioni vissute nel XVII secolo nel corso dell’epidemia di peste, ma anche di garantire una valorizzazione maggiore delle descrizioni presentate dall’autore. Il paragrafo Peste e frati cappuccini nel Cinque-Seicento (p. 337) chiude, nei termini appena delineati, il primo capitolo della terza sezione e apre alla seconda partizione, di stampo prettamente storico e dedicato all’attività di personaggi come Felice Casati. Anche in questo caso la trattazione si alterna alla rievocazione di passi de I promessi sposi, come dimostrano i paragrafi La “traversata di redenzione” di Renzo, o lo specchio del “ragionamento” (p. 382) o Il “sogno” di don Rodrigo (p. 398), ma ritorna, in chiusura, all’elemento storico, attraverso l’analisi della figura dell’untore in merito alla quale Di Ciaccia segnala come già Manzoni parlasse di «“pazzia”, a proposito di certe idee circolanti» (p. 419). L’analisi dell’autore si snoda attraverso i processi subiti da innocenti lavoratori e si propone di valorizzare l’operato dei cappuccini, «più inclini ad andare dietro ai sofferenti che alle fanfaluche» (p. 427), anche in opposizione a quello del tribunale dell’Inquisizione, dove pure è possibile scorgere una luce grazie alla figura di Federigo Borromeo che, «pur incline alla credenza della peste demoniaca, [ha] operato con discernimento e oculatezza, quando erano in causa persone reali che egli riteneva di dover difendere dalla dissennatezza di forsennati cacciatori di streghe» (p. 439). Chiude la terza parte, e con essa il volume, un’appendice dedicata all’assistenza offerta dai cappuccini in occasione della peste del 1630, cui fa seguito un ampio apparato paratestuale, composto da un Indice dei testi citati o menzionati (p. 485), dalle Indicazioni bibliografiche (p. 513), da un Indice dei nomi di persona (p. 525) e infine da un Indice delle illustrazioni (p. 543), presenti in tutto il volume con un totale di sessantaquattro tavole. G. Marozzi
Vincenzo La Mendola, in «Collectanea Franciscana», 91 (2021) 3-4, pp. 1022-1027.
L’opera del Manzoni non invecchia mai. Lo avvalorano i numerosi studi, continua mente pubblicati in Italia e all’Estero. Le pagine dei suoi scritti somigliano ad una miniera dalla quale lettori e studiosi di ogni epoca estraggono riflessioni e argomentazioni che ne esprimono tutta la ricchezza di contenuto, non solo letterario, ma anche storico, filologico, religioso. È il caso del professor Francesco Di Ciaccia, ordinario di lingua e letteratura italiana e docente universitario, frequentatore assiduo dell’opera di don Lisander e, ormai da quarant’anni, competente maestro di studi manzoniani, con una significativa produzione tra il 1983-1985, durante il secondo centenario della nascita dell’Autore, come è possibile notare sfogliando le annate della rivista Italia Francescana e quelle di altre numerose testate affini, e non solo.
Il suo approccio a I promessi sposi vanta un taglio specifico: egli si è proposto di analizzare a fondo, in tutti i suoi aspetti, la presenza dei Frati Cappuccini nel romanzo manzoniano, collocandosi nella scia dei più noti studiosi dell’Ordine che hanno inaugurato tale corrente di investigazione, che ha il precursore più famoso in p. Giuseppe Santarelli e, da aspetti diversi, i suoi autori contemporanei più rappresentativi in Costanzo Cargnoni e Giovanni Spagnolo.
L’opera corposa del Di Ciaccia, che costituisce il sesto volume della collana “Centro studi Cappuccini Lombardi” (nuova serie), diretta dal Cargnoni, si propone di esaminare all’interno del romanzo tre tematiche che lo attraversano dall’inizio alla fine, e che possono essere considerate altrettante chiavi di lettura per la sua comprensione a tutto tondo: guerra, carestia e peste, i tre ingredienti più famosi del mondo (Voltaire), richiamati in una interessante citazione nella Panoramica corsara (p. 15), nel loro intrinseco rapporto di nefasta connessione ma che vengono sviluppati dall’Autore nelle rispettive parti del suo ampio saggio: Guerra e rivoluzioni (parte prima, p. 25-196); Carestia (parte seconda, p. 197-266); La Peste (parte terza, p. 267-485).
Lo studio delle tematiche accennate non è generale, ma concentrato a svelare le implicazioni storiche che in esse hanno avuto i cappuccini, dagli inizi della loro Riforma, fino alla metà del Seicento, secolo di ambientazione del romanzo manzoniano.
Il contenuto si presenta omogeneamente distribuito nelle pagine del libro e la sua consultazione tematica (luoghi, persone, temi) è facilitata da opportuni strumenti, posti in calce: Indice dei testi citati o menzionati, Indicazioni bibliografiche, Indici dei nomi di persona, Indice delle illustrazioni, Indice generale (p. 485-549). A questo proposito, si rivela particolarmente pratica la Nota metodologica posta volutamente all’inizio del volume, nella quale si esplicitano i criteri adottati, per facilitare al lettore (storico, letterato, critico che sia) l’individuazione di opere classiche, fonti archivistiche e bibliografia attinente.
Le tematiche in oggetto non sono da considerare blocchi a sé stanti, ma nel loro divenire storico, presentano tra loro numerosi nessi, spesso coesistendo, e diventando concause l’una dell’altra, con esiti tragici. È quello che vuole dimostrare l’Autore nel corso della sua esposizione, nella quale sono frequenti i collegamenti intratematici che conferiscono unitarietà al “trittico”, a cui magistralmente allude, con un’immagine appropriata, Cargnoni, nella sua Presentazione, all’interno del quale “i quadri si guardano, interagiscono e si completano a vicenda secondo una metodica di circolarità” (p. 6).
Il tema della guerra (rivoluzionaria e ideologica), quasi sempre genesi certa di carestie e pestilenze, è posto all’inizio, per la sua precedenza causale rispetto agli altri due. Le sue origini, motivazioni e conseguenze, nella visione del Manzoni, vengono approfondite nella prospettiva della sua insensatezza, ragion per cui non è un argomento preferito nel romanzo, ma inserito in esso per conferirgli una cornice di storicità. È a questo proposito che compaiono al suo interno digressioni in cui si descrivono le guerre in atto, che fanno da sfondo alle vicende dei protagonisti: quella dei 30 anni e la contesa per la successione dei ducati di Mantova e del Monferrato (1628-1631).
Se Il Manzoni si dichiara avverso alle guerre del secolo XVII e alla Rivoluzione francese, nella quale egli vede compromesso il principio di autorità, non lo fa con quella italiana del 1859, combattuta per sostenere la causa dell’indipendenza e dell’unità nazionale, elementi che il Di Ciaccia riconosce nel “patriottismo” del Manzoni (cf. p. 102-
114) e nella conseguente “funzione patriottica del romanzo storico”, disseminato dai suoi “principi liberali” (cf. p. 115-130), per i quali egli è ovviamente figlio del suo tempo, pur consapevole di essere una voce fuori dal coro e schierata con impopolari personaggi scomodi, come il Rosmini in primis.
Interessante notare come nella disamina del tema bellico l’Autore, in modo assolutamente originale, inserisce due “riflessioni extravaganti” sulla Provvidenza, “che scorre come sangue nelle vene del romanzo manzoniano” (p. 7), con le quali getta luce sul profilo spirituale dell’Autore e sulla sua visione del mondo e della storia. Non manca, nella trattazione, una parte che può essere definita biografica, in senso lato, che mette a fuoco alcuni aspetti della personalità e del pensiero politico e religioso dell’Autore.
Ne è un chiaro esempio, in questo senso, l’Appendice alla prima parte, L’indole e il pensiero politico: Manzoni e d’Azeglio (p. 179-196). In essa si mettono in correlazione la sua formazione umana e culturale e l’abilità letteraria, capace di far passare nelle trame del romanzo storico, il proprio pensiero, a volte critico o dissonante, ma sempre scevro da sterili polemiche su alcune questioni scottanti.
Il secondo filone tematico proposto è quello legato alla carestia. Nel primo capitolo il tema viene allacciato al precedente, evidenziandone le interdipendenze e scendendo successivamente nel merito del romanzo. Due sono le figure prese in considerazione: quella di Federigo Borromeo, alle prese col “mucchio”, ossia la massa amorfa, e la principale di Renzo, colta in diversi momenti della narrazione. Se il primo personaggio è osservato dall’angolatura della carità e delle iniziative umanitarie, pur rimanendo circoscritto nella propria frugalità, il secondo viene presentato come la descrizione vivente delle conseguenze di una realtà che colpiva la maggior parte della popolazione, larga fascia di vittime di cui egli è il rappresentante paradigmatico. La “piazza” come scenario sul quale si proiettano le sicure conseguenze della carestia, ci offre uno spaccato di vita vissuta, seppure filtrato dall’ispirazione manzoniana, ma reso plastico dalla sua parola icastica.
Altra figura secondaria, nell’economia del romanzo, ma non nel pensiero del Di Ciaccia, è quella del fratello laico fra Galdino, inscritta nel contesto della “cerca” e cifra del vissuto dei “frati del popolo” nel loro totale coinvolgimento con i poveri. “L’immediatezza della sua familiarità” (p. 222) è la cifra interpretativa della prossimità dell’Ordine nei confronti delle periferie esistenziali dell’epoca, resa ancora più tangibile dalla semplicità, “senza la quale muterebbe l’idealità reale dell’immagine francescana” (p. 229).
L’esame di tale personaggio è solo il punto di partenza e l’angolo di visuale migliore per mettere a punto un tema più articolato: il rapporto dei cappuccini “con gli scarti della società” e le sue modalità di attuazione. Le pagine riguardanti il frate questuante costituiscono una delle più interessanti analisi dei personaggi condotte dal Di Ciaccia, soprattutto per la sua capacità di leggere al di là del semplice dato letterario e di penetrare nelle intenzioni dell’Autore, intercettate nel non detto ed espresse con il ricorso all’aneddotica, o “favola galdiniana” (vedi il racconto del miracolo delle noci, ampiamente sviscerato) e alla parlata popolare, che sulla bocca del frate, suona come un monito di consolazione: “Allora bisogna aver pazienza” (p. 226).
La chiave interpretativa della presenza “dei frati della peste”, nel romanzo, si può sintetizzare in una frase ad effetto: “i frati cappuccini ne I promessi sposi essenzialmente donano” (p. 255), poiché “nella filosofia francescana tutto è da dare, tutto è da ricevere. Tutto è da dare da parte di chi riceve, tutto è da ricevere da parte di chi dà” (p. 252-253), conclusioni acute e assolutamente condivisibili dell’autore.
Connesso alla carestia l’Autore chiama in causa il tema dell’elemosina, con una interessante puntata su L’elemosina nelle Osservazioni sulla morale cattolica (pp. 257-260) dove viene spiegata la differenza tra la filantropia e la carità e presentato il punto di vista del Manzoni, su un tema a lungo dibattuto nella storia della prassi caritativa cristiana.
L’ultima parte, la più estesa del saggio, è interamente dedicata alla peste. Essa ne costituisce la parte più originale e interessante. Con il primo capitolo La peste e i frati cappuccini si entra immediatamente nel merito della trattazione con una puntuale analisi storica della presenza dei frati nei lazzaretti milanesi, durante le due più grandi epidemie di peste in epoca moderna. In questo ambito del suo romanzo, precisa l’Autore “Il Manzoni, tutt’altro che ingigantire con fantasie la condizione di disordine del lazzaretto, e per contro, l’efficiente e rigoroso operato dei frati stessi, si attenne ad una scrupolosa fedeltà alle fonti documentarie” (p. 269), argomento avvalorato da precisi riferimenti al Dialogo della peste di Paolo Bellintani da Salò (p. 303-336), prezioso e rilevante documento storico, coevo all’ambientazione de I promessi sposi, che consente di entrare nel vivo della questione da diverse angolature: le condizioni dei lazzaretti (quell’albergo di miserie, p. 278) con la loro organizzazione e disciplina e l’opera disinteressata dei cappuccini, riconosciuta dalle autorità dell’epoca e riportata coralmente da tutti gli storici e i critici successivi.
Essi “era gente coi piedi in terra e non la testa tra i castelli, tra le nuvole” (p. 282), ai quali venne riconosciuto quel “vigore e sangue freddo”, a cui dovevano essere avvezzi da una “vita austera e abituata a forti e vigorose rinunce” (p. 293), virtù confluite nella storica e singolare personalità di Felice Casati, capace di benevolenza e rigore disciplinare (metodi decisionisti, rapidi e impositivi, p. 305), di senso pratico e di vigilanza, di fermezza nella denuncia degli untori, (egli prestava fede alle unzioni, p. 297) e nella loro condanna. Infatti a detta dell’Autore: “Il frate cappuccino «punisce» come è detto nel romanzo, quando il dovere glielo impone; ma non umilia. Mai” (p. 373). Il suo “solenne ragionamento” (esempio della forma della predicazione cappuccina, p. 376) richiamato nel capitolo II, ne completa la fisionomia spirituale, caratterizzata dalla “compunzione” (la quale non si dice, ma è, p. 369). A completare i lineamenti della personalità del “frate degli ultimi”, l’autore accosta fonti biografiche relative ad un altro cappuccino, indicativo di un’epoca e di una modalità apostolica, Giuseppe da Leonessa, canonizzato nel 1746, descritto nel suo ministero tra i carcerati e condannati a morte.
In continuità si pone un’altra personalità di spicco, Paolo Bellintani da Salò, “attivo nei lazzaretti di Milano, Brescia e Marsiglia” (p. 337), che venne investito sia del ruolo pastorale sia dell’incarico di presiedere ad ogni attività materiale. Egli, tra le molteplici attività svolte, fa notare Di Ciaccia, ebbe particolare cura nel seppellire i morti, “voleva che si usasse attenzione e rispetto e riverenza ai cadaveri, difendendoli dagli assalti notturni di lupi rapaci” (p. 340), e fu attento ad “evitare gli sprechi di ogni genere di beni, da quelli alimentari a quelli strumentali”, una peculiarità tutta cappuccina (p. 341). È sufficiente richiamare solo questi due, tra gli aspetti della poliedrica personalità del frate, per avere contezza dell’umanità e della “premura” che si nascondeva sotto le apparenze dell’austerità.
La sorte dei frati addetti ai lazzaretti seguì le evoluzioni del morbo e il suo espandersi per le varie città dell’Italia settentrionale (Brescia, Mantova, Rovereto, Palermo, Venezia e in Piemonte). I loro rapporti con autorità civili e religiose (vedi san Carlo Borromeo) sono solo un indizio del ruolo sociale che i frati rivestirono in quei frangenti di emergenza sociale, continuando ugualmente a praticare gli esercizi di devozione conventuale in un quadro di “normale eroicità” (p. 352). In una laconica definizione, coniata con sagacia dall’Autore, possiamo dire che “la storia manzoniana dei cappuccini al lazzaretto è la negazione strutturale dello spirito di superbia” (p. 374), con tutte le conseguenze, sul piano spirituale che ne derivano.
L’Appendice alla parte terza, La peste del 1630 nelle Giudicarie e l’assistenza dei cappuccini, completa il quadro storico della diffusione del contagio e ci offre un inedito spaccato di “storia di carità” dell’Ordine, forse “troppo di periferia”, per essere conosciuta, ma non per questo meno drammatica nei suoi esiti. In questo contesto l’Autore evidenzia il ruolo dei cappuccini nei lazzaretti di montagna, in collaborazione con religiosi di altri ordini (gesuiti, minori riformati), ancora oggi commemorati da monumenti storico-religiosi e dalla memoria collettiva, orale.
È piuttosto difficile, in una recensione, tentare di menzionare, anche soltanto in generale, il numeroso elenco di argomenti confluiti nel voluminoso studio del professor Di Ciaccia. A ragione, esso può essere definito una summa manzoniana della presenza dei cappuccini all’interno delle dinamiche del famoso trittico guerra, carestia, peste, argomento principale dell’indagine. A nostro avviso non c’è argomento inerente le tre direttrici tematiche che non sia stato chiamato in causa e affrontato nelle dense pagine e note del libro.
In alcune sue parti emerge con chiarezza la conoscenza analitica di argomenti specifici e si denota il loro contributo alla comprensione di aspetti inediti del romanzo manzoniano, che lasciano pensare alla lunga gestazione dell’opera, in anni intensi e fervidi di letture interdisciplinari mirate e costante studio sistematico.
L’odore di barba cappuccinesca, riferito al Manzoni, può essere benevolmente conferito allo studioso Di Ciaccia, per la sua straordinaria frequentazione delle fonti storiche e della letteratura cappuccina (classica e contemporanea) e per la sua capacità di entrare nel vissuto storico dell’Ordine, con opportune riflessioni ed oculate considerazioni che rendono stimolante la lettura del saggio e gli conferiscono una veste di seria attendibilità, che va al di là della consultazione e dell’uso delle fonti, rivelandosi a volte vera e propria penetrazione psicologica dei personaggi, senza forzature, nel rispetto delle personalità, così come esse sono plasmate dalla prosa manzoniana.
Il lettore frequentemente si imbatte in gruppi di tavole illustrative, distribuite lungo il corso della narrazione, le quali creano una piacevole sosta culturale. La loro scelta, non casuale, si rivela integrativa alla documentazione e complementare alla scrittura, portando chi legge, in una sorta di museo cartaceo, all’interno del quale è possibile trovarsi di fronte ad opere d’arte (di diversa estrazione e genere), spesso sconosciute, che documentano quanto l’Ordine cappuccino abbia ispirato artisti di epoche differenti, e contribuito, non sempre consapevolmente, alla crescita della cultura italiana. Se il contributo dei benedettini è ritenuto fondamentale per la formazione (identitaria) del continente europeo nel lungo medioevo, non è fuori luogo affermare che anche i cappuccini possono esserlo, con modalità differenti, per la costituzione “politica” culturale e spirituale dell’Europa moderna. E la lettura attenta dello studio in questione ne è una prova autorevole.
La prolissità dell’opera, le frequenti digressioni disseminate tra le sue pagine, l’uso di un linguaggio a volte eccessivamente tecnico e di una prosa che spesso oscilla tra il saggio storico e la critica letteraria, caratteristiche emergenti dello stile dell’Autore, potrebbero scoraggiare un lettore non abituato a seguire più fili narrativi contemporaneamente. È ovvio che lo studio del Di Ciaccia è indirizzato in primis ad un pubblico di destinatari, “addetti al mestiere”, ma non è escluso che possa, nello stesso tempo, essere oggetto di attenta lettura e paziente studio, anche da parte di chi, pur non avendo una competenza in merito, vuole approfondire alcune tematiche peculiari e arricchire il proprio bagaglio culturale.
In ogni caso scripta manent! Solo per ricordare che i futuri studi sul Manzoni e la sua opera principale non potranno prescindere da quanto esposto dall’Autore in questo suo lavoro, al quale auguriamo larga diffusione, come merita. Vincenzo La Mendola, Istituto Storico dei Redentoristi
Valentí Serra de Manresa, OFMCap., in «Revue d’histoire Ecclésiastique», 116, 3-4 (2021) pp. 1017-1019.
Damos noticia de este estudio de carácter interdisciplinar elaborado por el crítico literario, Francesco Di Ciaccia, a propósito de la acción pastoral y asistencial realizada por los frailes capuchinos durante las guerras, crisis sociales y hambrunas, especialmente las acaecidas durante el conflicto sucesorio entre Mantua y Monferrato (1628-1631). La monografía viene precedida por una orientadora introducción redactada por el erudito capuchino Costanzo Cargnoni (p. 5-14), en la cual se pone de relieve como en la vida cotidiana de los antiguos capuchinos, durante la recitación coral de las letanías, se imploraba, casi cada día, la gracia de ser liberados A peste, fame et bello libera nos Domine; una expresiva súplica que sintetiza las principales desgracias que afligieron a la población de Europa durante bastantes años de la época moderna y contemporá nea y que, muy sugerentemente, articulan la estructura de esta obra que reseñamos para la Revue d’Histoire Ecclésiastique.
La monografía se presenta estructurada con estas tres partes: Guerras y Revoluciones (p. 25-194); Carestías (p. 197-264) y la última y la más extensa: La peste (p. 267-471) con el a ñadido de un apéndice documental sobre la asistencia espiritual de los capuchinos a los apestados de 1630 en la zona del Valle trentino de la Giudicarie y en el de la Val Rendena (p. 473-483), un ámbito geográfico que también forma parte de la trama argumentai de la famosa obra manzoniana I promessi Sposi, novela publicada en 1825 y traducida in numerosas lenguas.
El interés por el impacto de las pestes en Europa y sobre el alcance de la presencia de los capuchinos en la obra de Alessandro Manzoni (1785-1873) ya fue objeto de estudio en el lejano 1927 por los redactores de la revista L’Italia Francescana (en el lejano ne I promessi sposi)y, también, ha sido estudiada por destacados investigadores de la vida capuchina como, por ejemplo, en 1970 por el padre Giuseppe Santarelli (ver I cappuccini nel romanzo manzoniano)o, incluso, ha sido un tema tratado monográficamente por los miembros del Istituto Italiano de Cultura de Madrid en 1975 (ver La guerra e la peste nella Milano dei Promessi Sposi),puesto que se trata de las más novelas históricas más prestigiosas en la cual Manzoni, de un modo realmente magistral y bajo el espejo literario, trata sobre el impacto existencial del conjunto de tribulaciones ‒ guerra, hambre y peste ‒ vividas en los estamentos populares y en las clases más pobres y bajas de la Lombardia del seiscientos, entonces bajo la dominación hispana en tiempos del ducado español del Milanesado.
El autor retoma la temática y presta una particular atención a la acción pastoral y asistencial de los capuchinos a favor del pueblo sencillo; una actividad que se remonta al siglo xvi, cuando nacieron estos franciscanos reformados y se expansionaron por Europa. En efecto, fue muy significativa esta dedicación a favor de los apestados ‒ una actitud que mereció a los capuchinos un gran prestigio y un enorme respeto entre la población ‒ y que suscitaría la gran implicación del padre Paolo Bellintani da Saló que representa: «uno dei più attivi operatori, tra i frati minori cappuccini, in occasione della peste cinquecentesca in varie località. Egli fu attivo nei lazzaretti di Milano, di Brescia e di Marsiglia» (p. 337) y que, además, redactaría el Dialogo della peste; un texto de 1584 donde expresa la conveniencia de imitar la caridad y el celo pastoral que mostró S. Carlos Borromeo en su heroica atención pastoral hacia los contagiados de la peste de Milán: «Paolo Bellintani adduce l’esempio di Carlo Borromeo, che di persona volse aministrare il santissimo sacramento dell’estrema onzione a molte persone durante la pestilenza milanese» (p. 317). Paolo Bellintani también aconsejaba a sus hermanos capuchinos que, antes de salir del convento hacia el lazareto, tomasen la poción de un jarabe cordial elaborado con la maceración de pétalos de rosa, raíz de achicoria y con cápsulas de lúpulo: «prima di uscire di bere qualche cosa cordiale […] quali lo sciroppo di rose, quello che si prepara dal succo di lùppolo, quello che prende il nome dalla cicoria» (p. 332) y que, además, se sirviesen de plantas olorosas para las fumigaciones para purificar el aire corrompido de los lazaretos, especialmente con ascuas humeantes de sarmientos, bayas de laurel, enebro y manojos de romero: «Collegato all’uso di erbe odorifere era, importantissimo, il ricorso all’emanazione di profumi dalla combustione di vari e determinati vegetali […]. Abbrucci legna odorifera come giunipero, lauro, rosmarino, dove ne è l’abondanza, o vero sarmenti di vite» (p. 334).
Este estudio de Francesco Di Ciaccia constituye una valiosa y muy documentada aportación (ver la amplia bibliografía citada en las p. 485-523) a las peculiaridades y a las características del pensamiento cristiano del converso Alessandro Manzoni así como, también, nos muestra su relación con los religiosos capuchinos milaneses, y muy particularmente, nos brinda una magnífica contribución al conocimiento de la incidencia de la actuación de los capuchinos de la Lombardia en los momentos más difíciles de su historia.
Finalmente debemos señalar que la obra reseñada contiene un modélico índice onomástico (p. 525-542), junto con 64 preciosas láminas de expresivas y acertadas ilustraciones, de las cuales destaca la lámina número 28, con la representación del asalto a una panadería durante una de las muchas crisis de subsistencias: Assalto al forno de Francesco Gonin (1808-1889), creada para ilustrar la edición de 1840 de I promessi sposi. También destaca la lámina número 52: Il carretto dei morti, una impresionante grabado efectuado por Batolomeo Pinelli (1781-1835) y que se conserva en el Museo Francescano de Roma. La obra reseñada constituye una valiosa contribución al estudio de las penalidades ‒ guerra, hambre y peste ‒ en Occidente y su influjo en la literatura. Valentí Serra de Manresa, OFMCap.
Traduzione italiana Si segnala questo studio interdisciplinare preparato dal critico letterario, Francesco Di Ciaccia, sull’azione pastorale e assistenziale svolta dai frati cappuccini durante guerre, crisi sociali e carestie, soprattutto quelle avvenute durante il conflitto di successione tra Mantova e Monferrato (1628-1631). La monografia è preceduta da un’introduzione orientativa scritta dallo studioso cappuccino Costanzo Cargnoni (p. 5-14), in cui si evidenzia come nella vita quotidiana degli antichi cappuccini, durante la recita corale delle litanie, si implorò, quasi ogni giorno, la grazia di essere liberato A peste, fame et bello libera nos Domine; un appello espressivo che sintetizza le principali disgrazie che hanno afflitto la popolazione europea per molti anni di epoca moderna e contemporanea e che, in modo molto suggestivo, articola la struttura di quest’opera che recensiamo per la Revue d’Histoire Ecclésiastique.
La monografia è strutturata in tre parti: Guerre e Rivoluzioni (p. 25-194); Carestías (p. 197-264) e l’ultimo e il più esteso: La peste (p. 267-471) con l’aggiunta di un’appendice documentaria sull’assistenza spirituale dei cappuccini agli appestati del 1630 nella zona della Valle Trentino de la Giudicarie e la Val Rendena (p. 473-483), area geografica che fa anche parte della trama della celebre opera manzoniana I promessi Sposi, romanzo pubblicato nel 1825 e tradotto in numerose lingue.
L’interesse per l’impatto delle pestilenze in Europa e per la portata della presenza dei cappuccini nell’opera di Alessandro Manzoni (1785-1873) fu oggetto di studio già nel 1927 da parte dei direttori della rivista L’Italia Francescana (nel lontano ne I promessi sposi) e, inoltre, è stato studiato da eminenti studiosi di vita cappuccina, come, ad esempio, nel 1970 da padre Giuseppe Santarelli (vedi I cappuccini nel romanzo Manzoniano) o, addirittura, ha è stato un tema trattato monograficamente dai membri dell’Istituto Italiano de Cultura de Madrid nel 1975 (vedi La guerra e la peste nella Milano dei Promessi Sposi), poiché si tratta dei più prestigiosi romanzi storici in cui Manzoni, in maniera davvero magistrale e sotto lo specchio letterario, si occupa dell’impatto esistenziale dell’insieme delle tribolazioni ‒ guerra, carestia e peste ‒ vissute nei ceti popolari e nelle classi più povere e infime della Lombardia nel Seicento, poi sotto Dominazione ispanica ai tempi del ducato spagnolo di Milano.
L’autore riprende il tema e presta particolare attenzione all’azione pastorale e assistenziale dei cappuccini a favore della gente semplice; un’attività che risale al XVI secolo, quando questi francescani riformati nacquero e si diffusero in tutta Europa. In effetti, questa dedizione a favore degli appestati fu molto significativa – un atteggiamento che valse ai cappuccini un grande prestigio e un enorme rispetto tra la popolazione – e che susciterebbe il grande coinvolgimento di padre Paolo Bellintani da Saló che rappresenta: “uno dei più attivi operatori, tra i frati minori cappuccini, in occasione della peste del XV secolo in varie località. Egli fu attivo nei lazzaretti di Milano, di Brescia e di Marsiglia» (p. 337) e che scriverà anche il Dialogo della peste; un testo del 1584 dove esprime la convenienza di imitare la carità e lo zelo pastorale di san Carlo Borromeo nella sua eroica pastorale verso i contagiati dalla peste a Milano: «Paolo Bellintani adduce l’esempio di Carlo Borromeo, che di persona volle amministrare il santissimo sacramento dell’estrema un tempo molte persone durante la pestilenza milanese» (p. 317). Paolo Bellintani consigliò anche ai suoi confratelli cappuccini che, prima di lasciare il convento per la pestilenza, dovessero bere una pozione di sciroppo cordiale ottenuto dalla macerazione di petali di rosa, radice di cicoria e capsule di luppolo: “prima di uscire di bere qualche cosa cordiale [. ..] quali lo sciroppo di rose, quello che si preparava dal succo di lùppolo, quello che prende il nome dalla cicoria» (p. 332) e che, inoltre, utilizzavano piante profumate per le fumigazioni per purificare l’aria inquinata dalla pestilenza, specie con braci fumanti di tralci di vite, bacche di alloro, ginepro e grappoli di rosmarino: «Collegato all’uso di erbe odorifere era, importantissimo, il ricorso all’emanazione di profumi dalla combustione di vari e determinati vegetali […] . Abbrucci legna odorifera come giunipero, lauro, rosmarino, dove ne è l’abondanza, o vero sarmenti di vite» (p. 334).
Questo studio di Francesco Di Ciaccia costituisce un prezioso e documentato contributo (si veda l’ampia bibliografia citata a p. 485-523) alle peculiarità e caratteristiche del pensiero cristiano del convertito Alessandro Manzoni, oltre a mostrarci il suo rapporto con i religiosi cappuccini milanesi, e in particolare, ci offre un magnifico contributo alla conoscenza dell’incidenza dell’azione dei cappuccini lombardi nei momenti più difficili della sua storia.
Da segnalare, infine, che l’opera recensita contiene un esemplare indice onomastico (p. 525-542), insieme a 64 preziose tavole di espressive e riuscite illustrazioni, di cui spicca la tavola numero 28, con la rappresentazione dell’assalto a un panificio durante una delle tante crisi di sussistenza: Assalto al forno di Francesco Gonin (1808-1889), creato per illustrare l’edizione del 1840 de I promessi sposi. Spicca anche la tavola numero 52: Il carretto dei morti, imponente incisione realizzata da Bartolomeo Pinelli (1781-1835) e conservata al Museo Francescano di Roma. Il lavoro esaminato costituisce un prezioso contributo allo studio dei disagi ‒ guerra, carestia e peste ‒ in Occidente e della sua influenza sulla letteratura. Valenti Serra de Manresa OFMCap.