Tassotti, Dante, 1978

Dante Tassotti, Convento dei Cappuccini di Camerino – restauri e notizie –, Camerino, Convento Cappuccini, 1978, pagine 109, «L’Italia francescana», 5 (1982) pagine 619-620.

 

 Copertina, Tassotti, Camerino

In copertina: ceramica di Fr. Mattia della Robbia, convento cappuccino di Camerino

Copertina, Tassotti, Convento

In seconda copertina: facciata e portico del convento cappuccino di Camerino

 

 

Testo della recensione

Benché l’argomento del libro, del resto eccellente dal punto di vista tipografico, sia relativo ad uno studio ingegneristico-architettonico, riveste un grande interesse anche dal punto di vista storico. Inoltre, parlare del convento dei Cappuccini di Camerino significa accostare un tema il cui «significato storico e ideale (è) raro e inconfondibile» (p. 7). Esso infatti richiama i primordi della riforma cappuccina, e con ciò i protagonisti storici di essa, da Matteo da Bascio e Raffaele da Fossombrone alla duchessa Caterina Cibo.

L’autore ricorda i momenti essenziali delle origini cappuccine nella «premessa» al volume, in cui sono indicati anche elementi toponomastici e geografici, i quali tutti concludono alla convinzione ineccepibile che «il luogo di Renacavata assume un’importanza unica nella storia dei primi conventi dell’Ordine cappuccino» (p. 8).

II « monumento », riconosciuto autenticamente tale, del convento è analizzato in tutte le sue generalità morfologiche antiche, «che rappresentano il linguaggio locale dell’edilizia paesana e rurale». Il valore culturale della primitiva costruzione, che i frati nel ‘500 trovarono già in loco, costituisce il criterio ispiratore del restauro, reso difficile a causa delle ripetute aggiunte e strutturazioni necessitate dalle esigenze locative. In particolare quelle del Settecento sono state mantenute, con il loro carattere dell’epoca, anche se migliorate con i servizi indispensabili, stante la loro finalità d’uso. L’autore tiene a sottolineare come, nonostante alcune concessioni essenziali alla vita di oggi, il convento è stato restituito all’originalità, soprattutto dal punto di vista della sua «significanza» e del «sentimento mistico» (p. 14).

Un’accurata ricerca storica costituisce un capitolo a se stante. Essa è utile non tanto per conoscere i particolari dei primi movimenti dei Cappuccini, quanto per collegarli con uno dei loro più importanti conventi sinora conservati.

La parte più consistente del volume illustra le strutturazioni del convento attraverso i secoli, con ampia e precisa documentazione fotografica: da quelle anteriori al 1531, a quelle operate nel 1531, quelle anteriori al 1663, al 1675 e, successivamente, alle modifiche tra l’Ottocento fino al 1928.

Termina il volume un’«appendice» di memorie sulla programmazione dei lavori e sul loro sviluppo, ultimato nel 1972 dall’autore del libro, la cui competenza in arte ed architettura sacra è stata riconosciuta con la nomina a commendatore dell’Ordine di San Silvestro nel 1960, e a membro della Pontificia Commissione d’arte sacra in Italia, nel 1965.

Il volume è stato pubblicato nel 450° anniversario della riforma cappuccina, ed è stato accompagnato da una fra le diverse «novità» permesse dai restauri: un museo storico cappuccino. Anche oggi, il libro merita di essere ricordato. Esso dimostra la cura dei Cappuccini marchigiani nel voler custodire il loro più prezioso «monumento», ormai divenuto meta di pellegrini, che in esso recepiscono a qualcosa dell’antico spirito dei frati.

È ritenuta da noi, pertanto, doverosa una recensione che pubblicizzi un luogo così illustre, nel quale non solo possano essere ammirate le forme esterne di una antica tradizione, religiosa e popolare al contempo, ma anche rivissute le forme interiori che l’hanno reso sostanzialmente memorabile.

Ci è gradito annotare, a conforto e a stimolo dei frati e dei visitatori in genere, la disponibile accoglienza di coloro che, vivendo in detto «monumento», sono in grado di illustrare personalmente le meraviglie della «ristrutturazione» della «casa di noviziato», e le memorie di coloro che, esemplarmente, vi condussero la vita. Scorrendo l’elenco anche solo dei «guardiani», posto alla fine del prezioso volume, notiamo infatti nomi meritevoli come Serafino da Crispiero (1869), Bonaventura da Lapedona (1909), Francesco da Montegranaro (1914 e passim), Eusebio da Cagli (1929 e passim), solo per menzionare i defunti. [Francesco Di Ciaccia]

 

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