Ulivi, Ferruccio, 1985
Ferruccio Ulivi, Manzoni, Milano, Rusconi (Le Vite), 1984, pp. 427, in «Italia francescana», 5 (1985), pp. 589-590.
Testo della recensione
Già numerose sono le recensioni della biografia manzoniana dell’Ulivi, di cui c’è chi ha notato la «maturità», affinata attraverso precedenti opere narrative, oltre che attraverso lunghi anni di critica accademica. Qui, noi vogliamo sottolineare l’anima «francescana» dell’autore, biografo anche dell’Assisiate e studioso francescanista. Non sarebbe corretto operare parallelismi, spesso tanto insidiosi quanto fragili, tra vita manzoniana e vita francescana, né ci sembra che il confronto abbia avuto spazio nell’intenzione dello scrittore. Tuttavia, se l’Ulivi ha potuto far emergere alcune note dell’esistenza manzoniana, ciò appare possibile perché egli stesso ha avuto occasione di penetrare nel vissuto francescano. D’altra parte, quanto all’accostamento Alessandro-Francesco, noi stessi stiamo per ricordare, in un saggio, l’improponibilità sul piano sia delle tensioni conscie, sia dei meccanismi inconfessati; pur tuttavia, alcuni elementi della dimensione spirituale dell’uno e dell’altro comunque si sfiorano, costituendo presupposti identici per sviluppi raffrontabili. Per il Manzoni in particolare, intuizioni nascoste, antagonistiche a quelle manifeste, si lascian svelare nell’autotrascendimento estetico-morale, manifestando consonanze con quelle di Francesco: anche se, in costui, più armonicamente unitarie. Le impellenze dello spirito conscio (ad es. il «timor»), nel Manzoni, determinano conflitti nella sua anima psichicamente configurata, mentre, nella sua anima «poeticamente» sublimata ed interiorizzata, esse si superano nella immagine del Padre come «caritas», «dilectio», essendone informate e, con ciò, stemperate nelle spigolosità conflittuali.
Per esemplificazione ancora, notiamo con l’Ulivi l’indole di Alessandro ragazzino: scioperato come i coetanei del suo ceto, egli tuttavia era, nell’intimo, occupato da ideali che al contempo lo rendevano distratto nei divertimenti stessi. Si trattava, già allora, di una serietà nel senso di apertura psicologica, mentale e spirituale a interessi diversi da quelli della mondanità sensibile, immediatamente attraente. Sviluppatasi in direzione sempre più fondamentale, come interrogativo di fondo sulla vita umana, quella pensosità, attratta dalle domande sul senso e sud valore radicale dell’uomo, portò il giovinastro alla «conversione». È merito dell’Ulivi aver rintracciato le linee di forza dell’evoluzione manzoniana, sulla cui giovinezza altre biografie hanno più giocato sui minuti particolari – inventando peraltro fantasiose romantico-sensuali articolazioni, non fondate -, che non rischiato interpretazioni complessive. E siamo giunti alla «conversione» del Manzoni, seguendo la strada maestra del biografo. Prima di procedere, ogni francescanista si chieda se la lucidità dello studioso non sia dovuta alla sua stessa penetrazione dell’esperienza francescana.
Orbene, sulla «conversione», Ferruccio Ulivi si «disimpegna» egregiamente – il verbo è nostro. Diciamo così, per addivenire subito alla conclusione del critico-biografo: vagliate le varie ipotesi biografiche e soppesate le diverse testimonianze, l’Ulivi perviene alla definizione che il «convertere ad Deum» sta al di là delle congiunture. Ciò sembra esser cosa lampante, addirittura stupida; ma di una stupidità del genere non han fatto conto biografi meno astuti. Certo è questo: non si può chiuder gli occhi e le menti ai dati acquisiti storicamente; ma non è neppur lecito parlar di «conversione», come hanno tentato altri insigni, senza saper neppure non dico che cosa sia tal fenomeno, ma come esso possa accadere. Nondimeno, a far «cultura» sono proprio gli insigniti parolai (sostenuti da poteri economici). Ferruccio Ulivi ha contemporaneamente dissertato sui fatti, e indagato sul mistero. Su questa intuizione, noi vediamo la luce attinta dalla frequentazione dell’Ulivi con Francesco d’Assisi, che, qui, sarebbe troppo chiederci di documentare analiticamente.
È poi interessante la ricostruzione della dinamica interiore che condusse di poeta lombardo alla Resurrezione. Il biografo conclude che fu la lettura del dato scritturistico ad attivare insieme mutamento esistenziale e ideazione artistica. Al di là della comparazione francescana – che viene in mente pur ad ignoranti come noi -, è facile rilevare l’aderenza dell’Ulivi alla vita intima del Manzoni, del quale egli sembra elicitare la dimensione «nascosta».
Alessandro non è Alessandro, se non è tutto Alessandro.
Consigliamo i benevoli lettori della presente recensione di leggere il libro dell’Ulivi, se intendono conoscere bene il Lombardo da una intelligenza aperta e disciplinata, e da una penna piacevole e moderata. [Francesco di Ciaccia]
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