Bellodi, Manuela, 2011
Manuela Bellodi, L’altro olocausto. La Stregoneria dall’Inquisizione ai nostri giorni, Padova, Cleup, 2011, pagine 88, in Literary.it, 12 (2011).
In copertina: Gentile da Fabriano, Polittico di Valle Romita, San Domenico (particolare), Pinacoteca di Brera, Milano
Testo della recensione
Il libro è utile come occasione per riflettere su un olocausto perpetrato durante molti secoli e generalmente sottaciuto, se non addirittura obliato. In effetti, ne trattano gli studiosi storici, ne parla qualche persona di cultura, molti ammettono di averne sentito parlare – di aver sentito parlare della “caccia alle streghe” -, ma il fenomeno della persecuzione contro le streghe – cosiddette – non appartiene al patrimonio comune di conoscenze.
Del resto, rientra nel corredo comune di conoscenze, nel nostro mondo occidentale, ad esempio il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, ma non l’uccisione di tutti coloro che non accettarono la confessione cattolica, con il conseguente genocidio o con la deportazione dei Sassoni e degli Àvari – i Sassoni, soggiogati in base allo statuto d’occupazione chiamato Capitolare Sassone, riconducibile in sostanza alla formula: “Cristianesimo o morte” (perché i superstiti fossero sottoposti al governatorato carolingio, i cui centri amministrativi erano diocesi e abbazie); gli Àvari, tutti o uccisi o dispersi, comunque depredati delle loro immense ricchezze pubbliche. Oppure, rientra nel corredo comune di conoscenze del medesimo mondo occidentale di media cultura la diffusione del cattolicesimo nelle Indie d’Occidente per opera delle Potenze coloniali, ma non l’uccisione di sessanta milioni di Amerindi, di cui in gran parte a motivo della loro diabolicità – cioè a motivo del convincimento dei conquistatori secondo i quali le credenze di quelle popolazioni provenivano dal demonio ed essi stessi erano quindi seguaci del demonio, con la conseguenza che gli indigeni o si pentivano convertendosi, o erano eliminati.
È dunque sempre utile ogni lavoro di approfondimento o anche solo di divulgazione di accadimenti così rilevanti quanto ignorati, perché “è molto più importante conoscere che perdonare o chiedere scusa a Giordano Bruno, a Galileo o a milioni di donne e bambine bruciate nel rogo dei secoli, e soprattutto capire quando, come e perché tutto questo è potuto succedere” (Introduzione, p. 9).
Del resto, la caccia alle streghe continua ancora, non certo in Occidente, ma ad esempio in India (p. 9) e in Arabia Saudita (p. 9). In quelle e in simili zone culturali, in effetti, avviene oggi ciò che nel Medioevo e in età moderna, fino all’età illuminista, avveniva – generalmente – nella società europea e occidentale e si ispirava a concezioni promosse, in radice, dalla societas christiana: concezioni derivanti dall’integralismo teocratico.
Ciò detto, ci si chiede quale rapporto intercorra tra l’integralismo teocratico e, ad esempio, la recente norma, stabilita in Arabia Saudita (novembre 2011), che intende imporre il velo integrale, che nasconda anche gli occhi, a quelle donne che abbiano occhi avvincenti – come un tempo, nella societas christiana, la norma, ad esempio, per cui la donna non poteva parlare nell’assemblea liturgica o, ancora nel 1765, non poteva laurearsi in Teologia (p. 78).
Il rapporto è che dove vige l’integralismo teocratico la linea direttrice – in ambito morale, giuridico, politico, fisico e persino, ove possibile, fisiologico – è dettata da una concezione religiosa, cioè precostituita e autoreferenziale, e non da fondamenti autonomi – autonomi in ogni campo, compreso quello morale ed etico – in quanto immanenti.
La base di questo genere di sistema – quello che collega teocrazia e caccia alle streghe – si individua in un’altra dimensione o atteggiamento di fondo: la paura del femmineo (il quale, quindi, o viene in qualche modo deificato, o viene in qualche modo demonizzato). In ciò l’impostazione teocratica gioca per l’appunto il suo ruolo di fondo, poiché, ragionando in termini di divino, impone le sue regole in modo assoluto, alieno dalla disamina realistica immanente all’ambito in questione – appunto, morale, giuridico, politico, fisico, fisiologico -, poiché adduce una prescrittività che è fatta risalire, o comunque la si riallaccia, al divino, che è ab-solutus – perciò autoreferenziale – e totalizzante. La paura del femmineo è la sostanza, secondo l’Autrice, anche della tradizione culturale che – in alcune culture ieri, in altre oggi – tendono a mutilare, magari analogicamente, la donna (p. 9).
Questa è la ragione di fondo per la quale le vittime peculiari della lotta alla pratica della magia – la quale magia spesso in realtà consisteva in rimedi di farmacopea popolare, o in usanze superstiziose di matrice precristiana, ovvero in ritualità religiose popolari, più o meno intrise di ignoranza o fondate su immaginazioni e paure, certamente, ma non per questo connesse in qualche modo al diavolo – furono le donne. A tal proposito l’Autrice riferisce la concezione degli Inquisitori – fissata in manuali dedicati e ufficiali, rigorosamente ortodossi ed ecclesiastici – circa la donna. La donna, “essendo debole fisicamente ed emotivamente, usa malefici per vendicarsi, è una specie diversa dall’uomo, generata da una costola ritorta, ingannevole, ha meno fede dell’uomo, dubita dell’uomo e di Dio, rinnega Dio e comunica col Demonio” (p. 28).
Come ho accennato, in realtà si trattava di donne che, come a Triora, erano unite in sodalizio per la raccolta di erbe e per la preparazione di decotti. Il libro espone inoltre, sinteticamente, alcuni contesti geografici e sociali che hanno maggiormente fatto scalpore per la persecuzione alle cosiddette streghe – spesso, rivali o antagoniste nella piccola società di paese, che magari si facevano dispetti ricorrendo a qualche intruglio o a qualche malocchio -, e inoltre dedica alcuni cenni al processo inquisitorio e al metodo giudiziario della tortura. [Francesco di Ciaccia]
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