Gneo, Corrado, 1990

La santità di tutti, recensione di Corrado Gneo, Riflessioni su La consacrazione cristiana secondo il Vangelo di Giov. 13-17, Roma, La posta di padre Mariano, 1990, con l’aggiunta di Corrado Gneo, Educazione alla libertà, Roma, Pontificia Università Lateranense – Città Nuova Editrice, 1981, pagine 212, «Cammino», 3 (1991) pagina 69.

 

Copertina, Gneo

Testo della recensione

Il padre Corrado Gneo, direttore de «L’Italia Francescana», ha recentemente proposto la lettura di alcuni capitoli del vangelo di San Giovanni, derivandone una serie di riflessioni non solo attente sul piano esegetico, ma anche stimolanti sul piano spirituale. L’idea sottesa a tutto il discorso sulla perfezione cristiana è che la santità consiste esclusivamente in un particolare atteggiamento coscienziale: quello di essere figli di Dio e di voler glorificare il Padre nel servizio dei fratelli attraverso l’obbedienza a tutti gli uomini, la povertà reale, l’umiltà concreta, la castità sincera, la carità fattiva. Se qualcosa “di più” deve provare nel proprio cuore chi si consacra a Dio in uno specìfico stato di vita religiosa, è quello di sentirsi meno “bravo” degli altri, per imparare qualcosa di spirituale da tutti. Importantissimo è poi il ruolo attribuito allo Spirito Santo, poiché la santità è esperienza esistenziale, fatta di sentimenti che “si sentono vivere” dentro di sé. La ristrettezza di spazio non mi permette di indicare le numerosissime riflessioni dell’Autore, che iniziano emblematicamente dalla “benignità e longanimità” di Gesù con il cieco di Gerico: un Gesù davvero divino, nel suo atteggiamento davvero umano.

Mi piace però legare la riflessione contenuta in questo libro con un precedente scritto del medesimo Autore, poiché ciò che è considerato in quell’opera è alla base di qualsiasi scelta e di qualsiasi progetto esistenziale: la libertà. Il libro è Educazione alla libertà, Roma, Pontificia Università Lateranense – Città Nuova Editrice, 1981, pp. 212.

L’Autore tiene a precisare – tanto più che il suo compito è proprio quello di educatore – che la libertà non è solo un dono naturale e poi sociale – magari, anche metodo democratico -, ma, soggettivamente, in primo luogo è una conquista personale e una mentalità culturale. Non è nemmeno soltanto un metodo pedagogico, ma anche e soprattutto una scoperta ontologica, che si fonda sulla struttura stessa dell’essere umano. Lo scritto intende quindi contribuire a far compiere questa scoperta ed a creare la mentalità della libertà.

L’Autore ricorda che, al giorno d’oggi, sulla scia di Rousseau, è diffusa l’idea che si vive “condizionati” dalla società, per cui sono sorti movimenti in tutto il mondo che contestano la società della tecnica, del consumismo, del capitalismo, del socialismo, dove non vorrebbero vivere, perché si sentono attentati nella libertà e nella loro dignità di uomini e si ritengono impediti a vivere felici. Molti, contraddittoriamente, ripongono libertà e felicità nella potenza con cui imporre agli altri un loro “ordine” nel mondo, un loro “ordine sociale”. Per contro, lo spirito di libertà rifiuta la (pre)potenza e cerca sinceramente la fraternità di tutti gli uomini: fraternità che spunta proprio dalla libertà. L’Autore infatti osserva che se, dopo Freud, “la società respinge il «padre»-padrone, è ovvio che essa non può trovare altro fondamento che tra «uguali», ossia tra fratelli ugualmente liberi, ugualmente potenti e ugualmente adulti” (p. 8).

Il punto di vista dell’Autore va allora alla radice dell’educazione, quando sostiene che occorre per un verso superare i cosiddetti “padri-condizionanti” e per altro verso – poiché nel processo di crescita umana è inserito il “condizionamento” e “l’uomo nasce nel turbine di elementi condizionanti” – occorre “trasformare con l’io vivente ogni «condizionamento» in occasione di crescita nella libertà” (p. 8). Infatti, poiché, egli vi diviene libero a misura che l’educazione lo aiuta a sviluppare i mezzi di difesa ed i doni che porta in sé. L’educazione alla libertà non può essere infatti “esterna” alla persona – poiché nessuno può liberare un altro, dall’esterno, “se non condizionandolo diversamente”! -: essa è solo interna alla persona, perché “si attua come esplicazione del proprio essere-verso”, cioè come essere-che-si-è aperto all’essere-per-l’altro. A sua volta, una persona educata alla libertà, nella definizione qui sopra data, educherà altri lasciando vivere anche costoro nella libertà.

Educare gli uomini alla libertà viene quindi a significare condurli alla responsabilità, cioè alla vigile coscienza di ciò che si è nel proprio profondo, sicché “la persona nelle diverse circostanze discerna il fondo dell’essere” (p. 9). Così la persona arriva a sentirsi preso “da quella virtù ontologica per cui non-può-non-essere-quello-che-è, e l’azione diventa l’esplicitazione del proprio essere cosciente” (p. 9).

 

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