Proudhon, Pierre-Joseph, 2000

Del principio federativo, recensione di Pierre-Joseph Proudhon, Del principio federativo, Introduzione e traduzione di Paolo Bonacchi e Tiziana Rogora, Milano, Terziaria, 2000, pagine 102, «Rosetum», 1-2 (2001) pagina 14.

Copertina, Proudhon

In copertina: Ludovico Carracci, La superbia di Romolo (particolare)

 

 

 

 

 

Testo della recensione

È il titolo di un’opera di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), uno dei socialisti ottocenteschi definiti da Marx utopisti. Ma forse la sua non era una concezione proprio avventata, almeno sul “principio federativo” dello Stato. Di fatto, le più grandi ed evolute nazioni moderne sono Stati confederali: dagli Stati Uniti d’America alla Germania, dalla Svizzera al Belgio. L’Italia no: anche se gli statisti sabaudi dell’Ottocento e le forze politiche d’allora, dal Cavour ai Neoguelfi, in realtà mirassero ad una nazione “unita” da costituire nella forma confederale. Ma vediamo che cosa sosteneva il Proudhon. Mi piace stralciare dal saggio introduttivo di Paolo Bonacchi.

“La vera profezia di Proudhon è il fallimento inevitabile di tutti gli Stati sorti dalle ideologie. Egli aveva trovato nello Stato Contrattuale o Federale la formula per la Libertà dell’umanità futura, ma aveva anche intuito che il percorso verso la federazione sarebbe stato lungo e difficile. Sapeva che il potere, comunque costituito, avrebbe cercato di contrastare con tutti i mezzi l’idea di federazione, perché questa poneva effettivamente nella responsabilità e nella libertà di scelta di tutti i cittadini il destino di tutta la società […]. […] pochi si sono accorti del rapporto fra federalismo e libertà. Secondo Proudhon, lo Stato federale o contrattuale è per sua stessa natura lo Stato della libertà politica, dalla cui realizzazione deriva la libertà economica.

Questa concezione dello Stato federale o contrattuale è la grande scoperta scientifica di Proudhon. Per mezzo di essa la Costituzione, come Legge fondamentale dello Stato, diventa Progressiva e sempre aderente alle attese, ai bisogni ed alla coscienza dei cittadini. Questo è il principio del federalismo, che attraverso il procedimento democratico realizza la Repubblica. Finalmente il popolo è Stato, e possiamo cominciare a parlare dell’Italia “Una nella diversità dei suoi popoli”, libera, democratica e repubblicana, perché federale. Proudhon lo aveva capito e splendidamente descritto in questo libro […]. Probabilmente per secoli ancora l’uomo cercherà la soluzione che saprà conciliare il bisogno di uguaglianza col bisogno della libertà. Le società moderne ripongono ogni fede assoluta nel primato dell’economico sull’umano e restano in genere indifferenti dinanzi alle sofferenze di milioni di creature. Tuttavia, costrette dalle loro stesse contraddizioni derivanti dall’indefinito confine della libertà con l’arbitrio, l’abuso, il capriccio, esse saranno costrette a ricercare ordinamenti diversi, in cui il furto derivante dagli eccessi della proprietà, dalla soddisfazione dei capricci, dall’arbitraria interpretazione delle leggi della vita, sia sempre più limitato dall’avvento di una nuova e più vasta coscienza individuale e collettiva. A questo mirava Proudhon con tutte le sue forze.[…]. A questo egli cercava una soluzione fin da giovane. La trovò molti anni più tardi, ormai ammalato, nei principi del Federalismo che egli intendeva come patto fra uomini basato su un rapporto di cooperazione e di comprensione reciproca per perseguire la giustizia ed il bene comune attraverso la Legge intesa come […] equilibrio fra Autorità e la Libertà”. [Francesco di Ciaccia]

 

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