Rivaz, Alice, 1998

L’umana quotidianità, recensione di Alice Rivaz, Racconti di memoria e d’oblio, Traduzione di Grazia Regoli e Alberto Panaro, Milano, Eldonejo, 1998, pagine 19, «Rosetum», 9-10 (1999) pagina 22.

 

Copertina, Rivaz, Racconti

Testo della recensione

Con una serie di racconti, la svizzera Alice Rivaz accosta in modo programmatico la vita umana nella sua quotidianità.

Vi delinea tanti volti e tante storie: episodi concreti da lei vissuti, ma così ricorrenti nelle esperienze comuni a tutti, da diventare emblematici della vita di ciascuno di noi.

Il suo sguardo acuto e vigile è tipico dell’attenzione femminile alle vicende dell’umana sorte: spesso amara. La vita per lo più è sofferenza: se non è la nostra, è quella altrui. In una riflessione importante per altro riguardo che attiene alla filosofia della scrittura, ella dice della carta scritta: “questa materia sottile, che si finge pura superficie per captare meglio, come in uno specchio, una seconda vita, immagine e replica […] della nostra”.

Le parole scritte, se c’è qualcun che “le tocchi, o piuttosto le imbevi, le attraversi […], diventano il luogo di tutte le metamorfosi” esprimono l’orrore e la bellezza della vita, le gioie e le sventure degli uomini; possono sputarvi in faccia, nutrirvi o denudarvi” (L’oblio). Queste brevi storie, raccolte tra le vie degli uomini a volte strani ma comunque degni d’un rispetto cui sembra dovuto solo il silenzio come di fronte a impenetrabile mistero, hanno il merito di far riflettere: possiamo sentirci “sputati” addosso da queste parole chiare, se ne temiamo l’insegnamento tacito ma trasparente; o rimetterci in discussione su certi atteggiamenti ridicoli o sbagliati, se ce ne “imbeviamo”; comunque ci “denudano”.

Pur con delicatezza materna e anche cristiana, questi scritti parlano di noi! Le tipologie del pregiudizio, dell’infingardaggine e della diffidenza, alla base di tanti equivoci che creano mostri e gettano i nostri prossimi nella solitudine e nella pena, sono individuati con estremo realismo. In un caseggiato, un vecchio, sporco e cencioso – “Anche il viso sembrava tagliato da vecchi cenci” -, ha terrore di farsi vedere dagli altri ed escogita mille sotterfugi per entrare in casa non si sa di chi: forse, della moglie e della figlia, tutte linde e profumate, che si vergognano di lui? L’“enigma” prende inesorabilmente la forma del rifiuto: quello è “l’uomo cattivo”, ne son convinti tutti. Senza saperne niente! (L’uomo cattivo).

Inevitabilmente sono sempre i più sfortunati coloro di cui, con cinismo consapevole, voluto, quasi obbligato, nessuno si occupa; poi, dal momento che di costoro nulla si sa – se non che, magari, hanno gatti in casa e presto fatto: “corrono voci”… (Si dirà). Spesso si tratta di vecchi: chi, più dei vecchi, è quasi una persona morta? Chi conta ormai poco o nulla? Lo constatiamo nelle strade, sui mezzi pubblici: “E mi sembra già di vedere i sorrisi beffardi che sulla mia schiena curva attaccheranno un cartello immeritato di scherno e di vergogna, e gli sguardi indifferenti che mi valuteranno come un vestito sciupato” (Vecchiaia offesa). Da qualche tempo la società guarda con più interesse alla vecchiaia, grazie al fatto che la popolazione anziana costituisce ormai una porzione rilevante nel mondo industrializzato anche se ciò non elimina i problemi esistenziali legati alla consapevolezza dell’inesorabile svanire dei giorni che non solo distrugge le forze fisiche e mentali ma pian piano cancella la memoria nei posteri: e questo sentimento accascia l’animo del vecchio (Il vecchio militante). Tuttavia dilaga ancora un’innegabile piaga: l’incuria verso i vecchi, relegati in ospizi in cui d’umano c’è solo il tornaconto degli impresari (La bella vita). A ciò si aggiunga l’uso che la “scienza” riserva loro: alcuni medici non si fanno scrupolo ad usare i malati più anziani come cavie per i loro esperimenti, praticando interventi dolorosissimi ma del tutto inutili – magari dichiarati tali da loro stessi, come leggiamo in un commovente racconto (“Mio figlio non lo permetterà”)!

Le situazioni si allargano all’infanzia fisicamente o emotivamente abbandonata (Canta, Fanny; Indovina chi c’è?) al mistero che unisce una coppia nonostante le difficoltà (La nuova lavandaia); ma toccano anche aspetti più universali, qual è la sensazione di freschezza che l’anziano prova rituffandosi tra la gioventù tinta di roseo – bellissimo affresco, in Serata calda -, o la “memoria dolorosa per l’“oblio” ma rigurgitante di desiderio, per i genitori scomparsi. Il tutto, in uno stile limpido e piano, spesso elevato da immagini stupende ed efficaci.

 

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