Rivaz, Alice, 1998

Un romanzo di vita quotidiana, recensione di Alice Rivaz, L’alfabeto del mattino, Milano, Eldonejo, 1998, pagine 332, «Rosetum», 3 (1999) pagine 20-21.

 

Copertina, Rivaz, L'alfabeto del mattino

Testo della recensione

La vita quotidiana: questo è il tema del romanzo di Alice Rivaz. E proprio la vita quotidiana – all’interno delle pareti domestiche e nella cerchia dei famigliari – investe problematiche esistenziali di enorme interesse, che nel corso della storia contemporanea sono state affrontate dalla pedagogia, dalla antropologia, dalla sociologia. Si tratta infatti di problematiche profonde.

Magari, drammatiche. Soprattutto se la vita – come in questa opera – riguarda la tenera, e delicatissima, età di una bambina. C’è da dire che l’autrice ha scritto molti altri romanzi, dal 1940 al 1983.

L’editrice Eldonejo, della Compagnia Editoriale Pisapia, ne sta pubblicando l’intera produzione in traduzione. Alice Rivaz – pseudonimo di Alice Golay -, nata nel 1901 a Rovray, nel cantone Vaud, e morta a Ginevra nel 1998, ha riscosso vivo interesse presso il pubblico di lingua francese, per la semplicità nel suo narrare e per la lucida capacità di osservare la vita che le scorreva accanto e dintorno: la vita, che è l’insieme degli atti – necessari e al contempo casuali – di cui è intessuto il divenire nel mondo.

Alcuni lettori e critici hanno ritenuto che l’autrice abbia anticipato i problemi relativi all’educazione – poi rinnovata alla fine degli anni ‘60 del nostro secolo – delle bambine. In effetti, in un ambiente tradizionalista quale quello della Svizzera calvinista, la buona educazione vuole che le bambine siano del tutto sottomesse e obbedienti, così docili “che non mettono il broncio, che non dicono bugie né parolacce, topolini così buoni che non li senti neppure” – si esprime l’autrice con efficace analogia. L’impostazione pedagogica convive tuttavia con le più diffuse e radicate contraddizioni dei rapporti interpersonali. La mamma ad esempio, malgrado i più nobili sensi di altruismo verso il prossimo e di pietà religiosa, vive un rapporto ambiguo con il marito: in pratica, ne sopporta male il carattere introverso e burbero e molto di frequente evidenzia atteggiamenti di disprezzo nei suoi confronti. Come conseguenza naturale, la bambina sviluppa un prepotente ed esclusivo attaccamento verso la mamma – peraltro, con certi delicatissimi gesti che l’autrice sottolinea con straordinaria vivezza.

Solo in qualche raro momento – l’autrice lo ricorda come un miracolo – il papà riesce ad ac-cattivare l’affetto della figliola. D’altro canto, alla “buona” indole della bambina fa da pendant la bontà della mamma. E su questo “amore materno” così riflette l’autrice: “Non sapevo ancora che sarebbe venuto il giorno in cui avrei rischiato di soffocare sotto il peso di seduzioni, di dominio e di pressioni impercettibili”. Il romanzo non mette tuttavia in luce solo questo nucleo dell’esperienza infantile; esso si snoda in un intreccio, sempre lineare e limpido, di situazioni in famiglia, di incontri con amici e parenti che movimentano la vita di tutti i giorni. A loro volta, le vicende personali e casalinghe si proiettano sullo scenario pubblico dell’epoca. Era il tempo dei primi movimenti socialisti in Svizzera, con turbative sociali e scioperi degli operai. Anche in questo campo esplodono le divisioni in seno alla famiglia. Il papà milita per il socialismo, la mamma sostiene invece la logica della “carità” privata: per far del bene al mondo, basta essere buoni con tutti e fare bene a ciascuno.

“Niente è così piacevole nella vita – ella afferma con convinzione – come far piacer agli altri. È l’unica cosa al mondo che lascia solo bei ricordi…”. Il pregio più rimarchevole dell’opera resta comunque la semplicità della scrittura, la chiarezza della prosa e l’efficacia descrittiva. In seguito proporremo ai lettori altri romanzi della Rivaz: una autrice che può colmare piacevolmente il vuoto di giornate grigie e annoiate.

 

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